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lunedì, settembre 20, 2010

L'animale che mi porto dentro

Ci sono panni stesi ad asciugare da queste parti. È domenica mattina e i bambini continuano a venire al mondo anche se i concerti costano troppo, le tasche son sempre bucate e gli affitti da saldare soffiano sul collo a ricordarti che l’aria è buona ma di questi tempi costa cara. Intanto qua vicino costruiscono case di lamiera e polvere. Le fanno dentro i nidi di merlo sui ciliegi in fiore. Dicono che è facile, che basta trovare il giusto equilibrio nell’impasto e poi è fatta; si possono innalzare fino anche al terzo piano se si è bravi nel prepararlo, l’impasto. Per gli intonaci, invece, servono i professionisti, ma pure quelli sembra si facciano pagare un bel po’. E comunque oltre al terzo piano proprio non si può andare, che se poi fa il terremoto cade tutto giù in un attimo. Io intanto osservo dal bar, che quando arrivo in un posto nuovo, per conoscerlo, devo andare a sentirne gli odori e gli umori nei luoghi in cui l’umanità si incontra e beve birra o prende semplicemente un caffè discutendo del derby che verrà. E allora, dai tavoli che tornano a riempire i marciapiedi in questa primavera un po’ così, è facile provare a scorgere case e cose nuove all’orizzonte, anche se si tornano a incontrare per qualche ora i passati e le vecchie conoscenze, che ora è bello anche solo raccontarsi “come ci va” in questa città che sa bene come tagliarti le gambe quando ne ha voglia.
E che poi a tutti vada un po’ a cazzo è altro discorso, scontato quanto basta per ricordarci che dalla merda è difficile uscirne e che beato è chi ci riesce. C’è crisi, nera, e non è una novità. Le facce sono scure e qualcuno ha già ha cominciato a richiudere il cassetto dei propri desideri.
Restano i limoni, quelli che riempiono ancora le bottiglie. I pedali che spingono le gomme gonfie sull’asfalto e gli umori che si confondono tra le lenzuola. E allora fanculo se la mia casa di lamiera e polvere forse non ce l’avrò mai. Se le tengano pure. Io ora mi siedo qui, tra un tram e i passanti intorpiditi. Stappo una familiare di Peroni e mi sciacquo la bocca dalle bacche selvatiche e dalla pioggia vulcanica. E mi metto nudo alla finestra del mio seminterrato senza balcone. E schiarisco la voce. E gracchio.
g79@email.it

Uno

Per raccontare storie che, purtroppo, diventano sempre più comuni, bisogna mettersi nei panni di una persona comune, UNO di noi, forse noi stessi.
Immaginiamo di vivere a Roma, capitale politica del nostro Paese, l’Italia, famosa per la propria storia e cultura. Siamo tanti, troppi e ci aggiriamo, nel disordinato disinteresse delle persone, in una città impreparata ad essere metropoli.
Oggi da tanti diventiamo UNO: un lavoratore alla fine di una giornata di lavoro, in particolare un educatore che spende il proprio tempo con persone disabili, inserito in una delle tante cooperative socio-sanitarie presenti in città. Il cosiddetto “terzo settore” , che si occupa di “aiuto alla persona”, di garantire servizi fondamentali per la crescita civile e culturale di una città; cooperative che resistono alle difficoltà quotidiane, ai tagli costanti di quella politica miope che affonda sistematicamente la mannaia dei tagli, solo grazie all’impegno e alla costanza di persone responsabili e appassionate del loro lavoro.
Immaginiamo che oggi questo UNO stia camminando su una delle strade più trafficate del popoloso quartiere di Monteverde, nei pressi della Circonvallazione Gianicolense, non lontano dalla zona di Trastevere. Copre il solito tragitto, come ogni giorno, con commovente caparbietà, un andirivieni tra il posto di lavoro ed il suo motorino. Nella mente, di sicuro, il pensiero di trascorrere una buona serata, calda e piena di chiacchiericcio con amici e conoscenti; un paio d’orette da dedicare a se stessi dopo una densa giornata di lavoro.
Immaginiamo che le intenzioni del nostro UNO vengano improvvisamente interrotte. Sullo stesso marciapiede camminano due ragazzi: uno GRANDE (coetaneo del nostro UNO), l’altro più giovane (PICCOLO). Individui con cui si pensa di avere tutto in comune, quello strano sentimento di solidarietà implicita tra “esseri” che vivono una stessa condizione esistenziale, che condividono ansia, speranza e timore per un presente ed un futuro che non infondono sicurezza.
Potrebbe esserci un incontro di sguardi, un comune ignorarsi, un fugace cenno del viso che dimostri simpatia: niente di tutto questo. Il più GRANDE decide di interrompere l’andare del nostro UNO, il più giovane, con fare determinato e violento, ribadisce l’intenzione: “stai fermo qui! Dove credi di andare!”. Le minacce si fanno subito esplicite e dirette. I loro giubbotti stretti, neri e ben allacciati, stridono vistosamente nel caldo ormai estivo di Roma. Tra i due c’è gerarchia, c’è verticalità, il più piccolo osserva estasiato e addomesticato le gesta automatiche, folli e innaturali del GRANDE. “Lui è più grande di me! Merita rispetto! Obbedienza!”…sembra pensare il più PICCOLO.
L’incontro si fa teso…
“Che razza di maglietta porti!” esclama il GRANDE.
(la maglietta in questione è una t-shirt nera con una stella rossa nel mezzo)
La faccenda si fa seria, gli insulti sempre più insopportabili, sempre più offensivi. La maglietta sembra avere attirato addosso al nostro UNO tutto l’odio del mondo, tutto il disprezzo di cui solo un uomo sembra capace. La politica, lo stile di vita, gli amici, le passioni, lo sport: tutto sembra sbagliato su quella t-shirt. Il GRANDE e il PICCOLO hanno riempito quel tessuto di post it ideologici.., il nostro UNO è diventato ai loro occhi COMUNISTA, FROCIO, TERRONE, EBREO. L’odio si ripete, la storia si ripete e scorre come un rivolo carsico, riemerge quanto meno te lo aspetti, anche dietro una STELLA ROSSA
Il nostro sfortunato UNO cerca di mediare. Tenta il dialogo, si presenta, cerca di razionalizzare quella cieca follia, di dare forma al caos. TUTTO VANO, TUTTO SI DISPERDE NELL’ARIA che si fa pesante e tesa.
Il COMUNISTA-FROCIO-TERRONE-EBREO è solo e non può far nulla, se non subire. Il GRANDE, dopo aver reso esplicito questo pensiero, guarda, con occhi colmi d’odio e vuoti di tutto il resto, l’UNO….”vogliamo ad OGNI COSTO la tua maglia!”.
Spogliarlo, renderlo nudo vorrà dire fare “igiene nel mondo”, ripulirlo dalla diversità che sconcerta e fa paura.
L’agitazione di tutti i protagonisti della scena continua a crescere, finché arriva qualche spinta di troppo e la violenza diventa incontrollabile.
Il nostro UNO si arrende e cede la maglietta agli aggressori.
Il GRANDE e il PICCOLO con il loro “bottino da pirati fascisti” si dileguano tra le macchina di una ROMA troppo distratta e impegnata per accorgersi di loro.
Il nostro UNO è spaventato, ma sa anche che sarebbe potuto finire peggio: corcarto, sdrumato, caricato de mazzate.
Lo sconforto, l’amarezza, la tristezza è totale!
Il nostro, ormai famoso, UNO è assalito da mille pensieri, si sente nudo, spogliato, e non per l’assenza della maglietta. In un attimo tutto il suo lavoro, tutta la sua dedizione, il suo impegno costante si è rivelato inutile, deludente senza via di scampo. La povertà di spirito e il vuoto culturale di cui è capace l’uomo hanno creato intorno a lui un silenzio assordante e inquietante. Anni spesi alla ricerca di un mondo migliore, di un’umanità benevola e dignitosa si svuotano di significato di fronte a DUE RAGAZZI, carnefici spietati e vittime inconsapevoli di un modo che tende alla “desertificazione” delle personalità, all’omologazione becera, allo svilimento delle esistenze; un mondo sempre in “svendita e in offerta speciale” . Una società che instilla e tende sistematicamente al culto della personalità, all’egocentrismo , al formalismo, al ritualismo depravante e allo smarrimento del senso critico, crea, necessariamente, individui oppressi e violenti e quindi per definizione infelici.
In altri in altri tempi la storia avrebbe avuto un epilogo diverso: L’UNO avrebbe invitato a casa (porto di mare) il GRANDE e il PICCOLO, avrebbero semplicemente trascorso una serata insieme, come tra amici…come tra SIMILI.
È dall’attenzione all’UNO che bisogna ripartire per dare senso e dignità ai MOLTI.
Il sonno della regione genera mostri
n.b. per fortuna il nostro UNO non è stato mai in questa storia veramente UNO fino in fondo, sotto quella stella rossa c’era un cuore e dietro quel cuore milioni di piccoli UNO felici, leali, sereni e tristi, combattivi, tenaci e spensierati, seri e frivoli, dignitosi e speso ubriachi.
Questi UNO hanno fatto di te un UNO così.

teteche@libero.it

On air from Australia

Il 24 maggio in Australia è autunno inoltrato. Fra qualche giorno inizierà l’inverno e alle 4 di pomeriggio ci sono 20°. Sto nell’area free di un mc donald e mi guardo attorno. L’Australia per molti versi è simile agli Stati Uniti a cui siamo abituati dai film. Grandi macchine, grandi strade, grandi case, grandi centri commerciali, gente grassa che mangia di tutto e a tutte le ore ma soprattutto un cielo immenso, mostruosamente grande da lasciarti senza fiato. Ammetto che il mio occhio montanaro non è abituato a questa grandezza perché la nostra visuale è sempre un po’ bloccata dalle montagne e dalle nuvole, però questo cielo è veramente esteso e sembra anche molto più vicino, quasi possibile da toccare.
Arrivo a Perth in un giorno di pioggia e resto un po’ delusa... volevo il sole, tanto sole, dopo un inverno rigido come quello di quest’anno; sull’aereo mi metto le ciabatte, esco dall’aeroporto aspettandomi temperature estive e invece, fa un po’ freschetto e mi tocca rimettere le converse. No, le scarpe no! Le odio! Voglio camminare scalza ma niente; piove e fa pure freddo però il panorama che ho di fronte è diverso, non è Capistrello, ci sono palme di tutte le dimensioni, alberi mai visti e tanti pappagallini verdi che volano in cerca di cibo come da noi fanno i piccioni. Insieme a loro ci sono anche molti corvi e gabbiani che fanno una bella confusione con i loro versi. Una strana sensazione mi accompagna, per mettere a fuoco che sono dall’altra parte del globo ci metto qualche giorno complice anche il fuso orario che mi ha fatto dormire agli orari più assurdi! Il jet leg ti colpisce all’improvviso come un rovescio di Jack La Motta e tu non puoi fare altro che addormentarti di colpo come se non lo facessi da secoli! Comunque dopo la prima settimana di stand-by tutto inizia a essere estremamente piacevole. Il giorno ci sono sempre 30° e si mangia all’aperto, vivo a casa con due ragazzi italiani, una ragazza colombiana dolcissima e un po’ pazza e il mio fantastico amore. Sì, sono venuta qui solo per lui ma visto che mi ci trovo mi godo il posto! La città è piena di parchi e zone verdi dove fare pic-nic, correre e dormire, c’è un fiume enorme che la divide in due ed è tutto contornato da percorsi ciclabili. Tutti fanno sport, corrono con l’i-pod al braccio e portano a spasso i cani... sembra un po’ il Truman show, sono tutti sorridenti, cordiali, gentili, tranquilli e benestanti. In Australia non c’è povertà, non esiste la parola disoccupazione, sono tutti corretti e precisi come appena usciti da un corso di bon ton. Poi arriva il week end e succede l’incredibile... ovunque ti giri, anche in una pompa di benzina, non c’è una persona seria... sono tutti ubriachi da non stare in piedi! Qui gli stipendi sono settimali quindi il fine settimana hanno tutti il portafoglio pieno e una voglia incredibile di lasciarsi andare... eh sì “gli australiani gente strana!” direbbe qualcuno, capaci di andare scalzi anche in banca, di vievere tutta la vita senza indossare le mutande, cordiali e quasi stucchevoli coi loro modi di fare gentili ma poco pronti a stringere amicizie vere, divorano tutto ciò che è commestibile facendo degli accostamenti che per qualsiasi italiano sarebbero folli, capaci di ubriacarsi per 3 giorni di fila e tornare a lavorare il giorno dopo senza battere ciglio (anche in Italia in realtà ne conosco un po’ :D), consumisti fino all’inverosimile però attentissimi a non buttare una cicca per terra o a pisciare in un prato, fiscali come pochi e attenti alle regole ma pronti a farsi multare per ubriachezza molesta, abbastanza ignoranti perché a 12 anni qui si può scegliere di lavorare e, aggiungo, di GUADAGNARE, attaccatissimi a quelle poche tracce di passato che hanno essendo una nazione relativamente giovane, patriottici e ovviamente diversi perché cresciuti in un posto diverso da qualsiasi altro al mondo.
L’Australia sa un po’ di Africa per al sua vegetazione "esotica", sa di occidentale per il consumismo e i modi di fare, sa di orientale per la sua vicinanza alle isole asiatiche dell’oceano indiano e per la sempre crescente massa di cinesi & co. che arrivano ogni giorno e aprono ristoranti e negozi e sa di un sapore tutto suo fatto di animali, alberi, deserti e spiagge che non trovano posto in nessun’altra parte del mondo. Vista dall’alto dell’aereo è un immenso deserto rosso in mezzo ad un oceano blu ma da vicino ci sono anche folti parchi ricchi di alberi dalle radici immense e dalle altezze esagerate, piante e fiori unici al mondo e poi gli animali che tutti conosciamo... troppo belli!
Che dirvi di più... La scoperta ha un gusto delizioso.
fagiolina

domenica, novembre 01, 2009

ME LLAMAN DESAPARECIDO

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso, terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi gli “scomparsi”, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.
Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per descrivere una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…
g79@email.it

mercoledì, febbraio 25, 2009

HELP HELP

Ho tanta rabbia e amarezza che non so come iniziare questo articolo, nella mia mente si accavallano mille pensieri che non riesco a trovare nessun filo logico. Provo a raccontarvi una storia: c'era una volta una bella bimba che amava studiare e imparare dal mondo che la circondava, la bambina crescendo aveva sempre più sete di conoscenza e voglia di fare, divenuta ragazza si è iscritta all'università, si è impegnata molto e si è poi laureata con il massimo dei voti. Si è poi ritrovata immediatamente scaraventata nel mondo del lavoro, e lì le sue speranze si sono pian piano spente. Sappiamo che l'Italia non offre nulla ai giovani, puoi impegnarti quanto ti
pare ma se non sei figlio "di papa" devi guadagnarti ogni centesimo fino ad arrivare a dare tutto per non avere quasi nulla in cambio. Devi imparare a leccare il capo, ad essere falso, a non guardare in faccia nessuno per poter andare avanti, ma io no, non ci sto, non mi sta bene, perché non si incominciano a guardare i meriti, chi si impegna, chi vuole guadagnarsi onestamente la giornata? Ma allora non ci ho capito proprio un c...o nella vita? Guardiamo chi ci governa, loro dovrebbero essere il nostro punto di riferimento, dovrebbero... ma io non vorrei mai diventare come uno di loro, destra o sinistra che sia, pensano sempre e solo ai loro interessi, e noi povera gente comune che a mala pena arriviamo alla fine del mese? Mah, io onestamente non ci sto capendo più nulla, mi guardo intorno e vedo un mix di ricchezze e di povertà senza alcun intermedio, gente che uccide per 100 euro, violenze, stupri, ma dove stiamo andando? Nonostante tutto, non possiamo fare altro che proseguire, dobbiamo essere noi giovani a crederci ancora, prenderci tutto il peso di questa devastante crisi che ci sta consumando e mattone dopo mattone incominciare a ricostruire...
Un'amica

domenica, ottobre 26, 2008

CHE BELLO, DUE AMICI UNA CHITARRA E UNO SPINELLO

Ogni volta che mi capita di passare per Trastevere, in via della Scala, non posso non pensare a Stefano Rosso. Erano gli anni della scuola media che ho avuto la fortuna di frequentare in un istituto situato al Portico d’Ottavia. Il doposcuola lo trascorrevo con i miei compagni tra i vicoli di Trastevere, il quartiere Regola e il colle Aventino. L’inferriata di Santa Maria in Trastevere spesso fungeva da una delle due porte dell’improvvisato campo da calcio sul quale si svolgevano memorabili sfide tra noi ragazzini. Via della Scala era là e lungo quella strada scorreva un fiume di gente. L’atmosfera di quegli anni, per quanto funestati dalla violenza politica e dalla criminalità diffusa di una Roma che stava cambiando, in quei vicoli carichi di storia, sembrava sospesa tra la tradizione popolare romana, ancora viva, con i tanti i panni stesi alle finestre e le botteghe degli artigiani chiassosi e indaffarati, e la gioventù dei freakettoni seduti sui gradini della fontana posta al centro della piazza. Con le loro chitarre e le folte chiome, erano accomunati da un forte senso di amicizia e partecipazione. Stefano Rosso con la sua canzone Letto 26 fotografava la giusta sintesi di quella dimensione. Nella più famosa Storia disonesta c’èra poi l’ironia e la scanzonata audacia di citare in una canzone lo spinello, scandalo per quei tempi ancora condizionati da una subdola censura perbenista. Lui non si curò molto di far ricorso a vaghe allusioni o ipocriti sinonimi pur di rompere gli schemi di una società ancora imbavagliata da moralismi cattolici e il codice Rocco. Il tutto contribuì in breve tempo a rendere Stefano Rosso un menestrello autentico che con la sua allegoria lo relegava, a mio avviso, tra i migliori testimoni culturali di una Roma sparita, la stessa Roma che fu di Ettore Petrolini, altro “popolano del miglior lignaggio". Dissacrante, ironico e irriverente come lo fu il poeta Gioacchino Belli durante il regno temporale dei papi sulla città eterna. La erre moscia e il tono colloquiale rendevano gradevole l’ascolto delle sue canzoni, differente dai toni grevi e cupi di un certo cantautorato settario che all’epoca furoreggiava. I testi, spesso autobiografici, conciliavano con la sua musica semplice ma efficace ispirata alla canzone popolare romanesca e intrisa di virtuosismi del country e del folk americano, spesso con arpeggi in finger picking, molto elaborati e mai banali.

Da ricordare anche le sue canzoni più impegnate come Odio chi, censurata ed epurata di alcune frasi ritenute poco “opportune” dagli autori di una trasmissione televisiva della Rai poco prima di andare in onda, vero atto d’accusa verso l’ipocrisia e l’opportunismo di certi italiani, poi ancora Bologna ’77, dedicata a Giorgiana Masi, ragazza uccisa a Roma durante una manifestazione.

La sua storia musicale ha conosciuto poi alterne fortune fino all’oblio sancito, ingiustamente, più dall’industria discografica che non dal pubblico. La notizia della sua scomparsa, oltre a procurare in me una velata tristezza, mi ha indotto ad una riflessione amara circa la deriva che ha conosciuto la generazione di quegli anni, ormai sopraffatta dalle orde nazi-fasciste degli stadi di calcio e culturalmente offuscata da un certo revisionismo storico di tipo autoritario che sembra aver contaminato larghe fasce di giovani.

Barabba

lunedì, maggio 19, 2008

GENESI...

(Dal Vangelo secondo The Snatch)

In buona parte non andava presa alla lettera…

È una bella storia quella di Adamo ed Eva
Ha un forte spessore morale ma…
Chiedere a un uomo adulto di crederci…
È una bella storia non è che questo
Solo una storia…
La Religione Cattolica è basata su mala-traduzione!
Settanta sapienti devono aver mal tradotto
Parole ebraica giovane donna
Con parola greca vergine donna
Era un errore che si poteva fare facilmente
Perché c’era solo una lieve differenza di scrittura
E così hanno fatto la profezia:
“Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”
È la parola vergine che ha catturato l’attenzione della gente
Non tutti i giorni una vergine concepisce e dà alla luce un figlio!
Lasciate fermentare la faccenda per 200 annetti
E in men che non si dica vi ritrovate Chiesa Cattolica
Dà speranza, non è importante se è verità o finzione
Alla gente piace credere.

sabato, gennaio 12, 2008

Attivismo...

(Riceviamo da una nostra amica e pubblichiamo)

attivismo!!! E già!Quello che manca al nostro caro governo, all'opposizione, a tutti i cari signori in giacca e cravatta che occupano insensatamente tutte quelle sedie.
Sono assolutamente incavolata per il disinteresse nei confronti dell'aereo disperso in Venezuela. Lì sopra c'èra una persona che conosco, e devo dire una vera e bellla persona. Voglio continuare ad usare il presente, e non per scaramanzia, ma solo perchè voglio continuare a sperare. Questa speranza che tutti cercano di tagliare. A partire dalla Farnesina. Avete per caso sentito commenti o dichiarazioni del nostro caro ministro degli esteri?
E tutti i suoi accostati, vicini e non!!! Neanche una parola! Il governo Venezuelano, nonostante produca petrolio, ha a disposizione i mezzi, ma non ha a disposizione carburante per farli funzionare!!! Non sembra strano? La Farnesina esclude l'ipotesi "dirottamento", ma dodici ore dopo che l'aereo è scomparso, il telefono di una delle ragazze bolognesi, ha squillato, per ben due volte!!!
Avete mai sentito parlare di un telefonino che squilla in mezzo all'oceano a non si sa quante miglia di profondità?
Io personalmente no!!!
E quindi voglio urlare tutta la mia rabbia e sottolineare tutta la mia delusione.
C'è qualcosa che non va, che non si deve sapere!!!
E poi...i mezzi di comunicazione???
Meglio parlare dell'anello di Carla Bruni. Ma è lo stesso o uguale a quello di cecilia?
E perchè no, meglio inserire l'arrivo di milingo e signora nella capitale.
Fa sempre un certo effetto sapere un prete nero, che crede nell'addio al celibato!!!
Voglio solo che almeno voi mi diate una mano. In tutti i modi possibili. Anche solo diffondendo il più possibile le informazioni, e cercando di sensibilizzare più persone, istituzioni, mezzi possibili. E' stata una settimana d'inferno! In ufficio, un silenzio assordante. Aiutateci a fare chiarezza e a riportare a casa Stefano e Fabiola, insieme agli altri nostri connazionali. Grazie!!!
C'è un sito, con un blog, visitatelo, commentate, aiutateci:
stefanoefabiola.org

domenica, novembre 04, 2007

Il laureato

La sfida è a un tempo audace e avvincente: provare a fare argomentare la maggior parte dei laureandi o freschi laureati che attualmente affollano i marciapiedi di Capistrello.

A quanti di voi, carissimi amici di Kaput, è capitata la disgrazia di imbattersi in uno di quei strani personaggi partoriti di fresco dai moderni atenei. Provate ad impostare un dialogo con una persona capace di vivere solo nel presente, priva del senso del tempo e della profondità storica. Di un essere convinto che il pentapartito fu una coalizione guidata dal Partito Comunista. Di un semiDio (per mamma e papà) incapace di dominare la struttura logica del pensiero, privo di ogni riflessione. Insomma, per farla breve, del tipico personaggio votato alla carriera politica locale, reduce da una fresca discussione di una tesi di laurea, ma soprattutto da una festa, con tanto di lista di invitati e bomboniere, nel quale si annuncia al mondo intero l’avvenuta conquista dello scibile globale da parte del figliolo prediletto.

L’identikit è presto che fatto: il moderno laureato capistrellano, geneticamente modificato nei laboratori del cepu (rigorosamente in forma clandestina), lacunoso, deludente e catastrofico. Posseggono uno scarso vocabolario, imbottiti come sono di televisione, spinette, bar, Audi A3 e Golf. Spesso sono in difficoltà dinanzi le pagine di un giornale (tranne la gazzetta dello sport, specie se tratta articoli sull’amata juventus), non sono in grado di comprendere e decifrare parole che dovrebbero far parte del loro bagaglio culturale. Seguono i modelli circolanti sui media e molto spesso, sempre più spesso, non leggono.

A voi, miei cari “dottori”, è diretta la mia preghiera, accorata e sincera: per favore lasciate cadere nel vuoto ogni vostra aspirazione politica, cambiate obiettivo, come diceva Marcello Mastroianni nel film I soliti ignoti… ”Forti e gagliardi… pala e piccone, quello è il vostro destino”. Abbandonate l’idea della politica, liberateci dall’incubo che la vostra numerosa parentela possa votarvi tanto da mandarvi sul sacro suolo del Municipio. Dateci la possibilità di difenderci o quantomeno di scappare, questo paese ha bisogno di idee, forza e capacità…non di titoli.

Un saluto da Barabba

sabato, settembre 01, 2007

Raccontarsi scrivendo

Attualmente lavoro sulle colline dell’Appennino tosco-Emiliano, dove dopo il lavoro, tra una lettura e l’altra e un po’ di buona musica, prendo spunto per scarabocchiare su un foglio A4 a penna non avendo un computer a disposizione. È in questo modo che, a volte, c’è la possibilità di rompere con il quieto conformismo di una settimana che al lunedì comincia sempre uguale a se stessa. C’è da lavorare per tirare avanti o per coltivare il sogno di momenti diversi.

Attraverso questa specie di premessa mi veniva in mente la mia generazione, formatasi interiormente negli anni ’90 con la nascita dei centri sociali, con la passione tanto accesa quanto pervasa dal rispetto per la musica, la letteratura e l’arte in genere. Fu quello un momento decisivo per la formazione umana di quella generazione che attraverso quegli argomenti ebbe la possibilità di sprigionare rabbia e ribellione partendo dal basso, attraverso la nascita del progetto “Arzibanda” e confluito nella scoperta febbrile e abbagliante della consapevolezza politica. Anche se alcune valutazioni politiche non mi convincono completamente, sono stato comunque pronto per il mio sostegno ad un ideale. Attraverso queste riflessioni e vedendo crescere mio figlio, mi veniva in mente il mio paesino, Capistrello, dove restano inalterate le problematiche inerenti ad una gioventù pervasa da molti problemi; il lavoro che non c’è e la mancanza di strutture organizzate solo per citarne alcune. La loro voglia di cambiare la realtà è spesso rabbia inespressa, primitiva, ad alla mia età di 37 anni, l’idea di cambiamento non si alimenta solo con gli ideali… non c’è tempo. Il disagio giovanile di allora è equiparabile a quello di adesso e forse un modo per arginarlo è quello di creare strutture organizzate. Ma affermazioni come queste potrebbero essere bollate come demagogiche o ripetitive rimandando il problema alla mancanza d’impegno da parte dei giovani o alla mancanza di denaro. Questi motivi sono solo la punta di un grande iceberg, che in fin dei conti una collettività preferisce ignorare per evitare di guardarsi allo specchio troppo da vicino e scoprire che il nostro egoismo non ci fa guardare che la nostra faccia.

Teseo

sabato, dicembre 02, 2006

L. A. cofidential part four

"Alcune persone tengono più ad essere criminali che a commettere un crimine. Questo non vale soltanto nel crimine, è così che va il mondo..."

Devo ammettere che ieri sera, ascoltando questa frase in un film, la mia mente è come partita per un viaggio... un susseguirsi d'immagini che hanno ispirato questo breve articolo. Credo che non ci sia espressione e località migliore di Los Angeles per descrivere la direzione, ahimè, che la nostra società sta imboccando. Girovagando un po' tra la variegata gioventù californiana non si può fare a meno di notare una certa vocazione all'esasperazione del “me”! Una rincorsa al successo sociale frenetica e fatta di atteggiamenti individualistici e megalomani. Perché succede questo? Perché non accettiamo noi stessi e cerchiamo di assomigliare a chi non siamo? Le risposte potrebbero essere molteplici. Io partirei dal fatto che la nostra società ci "obbliga" ad essere di successo, non importa neanche come, purché lo si ottenga! Ecco allora che saltano fuori le varie showgirl*, modelle, attrici, dalla "figa facile" accecate dalla voglia di notorietà per la felicità di produttori e autori, o peggio, dirigenti aziendali che pur di far quadrare i conti senza troppi scrupoli licenzierebbero, inquinerebbero, ucciderebbero. In questo l'America è maestra, anche se noi europei la seguiamo a ruota! Come si è detto e ridetto questa è l'era dell'immagine: dove la tua personalità potrebbe essere sottomessa al solo scopo di ottenere un'approvazione, dove compri il pesce e poi scopri che è un'imitazione (incredibilmente oggi ho comprato chele di granchio che hanno lo stesso identico sapore ma in realtà non è pesce!). Dove anche Paris Hilton riesce a vendere copie del suo fottutissimo disco! Dove le persone sono obbligate a conformarsi in delle sciocche formalità, dove chi è basso è out, chi e grasso è out, chi non ha soldi è out, chi va a messa è out. Chi è DEBOLE è OUT! Una folle realtà di celluloide dove tutti assomigliano a qualcuno, dove si spara a qualcuno solo per aver la possibilità di "fargli un discorsetto", dove le parole suonano sempre come già sentite, dove le idee e i valori sono luoghi comuni, dove le teste sono le palle da bowling sparate dritte contro dei birilli che non sono altro che i corpi di quelle stesse teste.
We do NOT conform to this, let's rebel!!!!
Dal nostro inviato a Los Angeles Trinx

a part of me is with you there, a part of you is here with me... flight high and guard me, assist me, protect me.. c u!!
* donne non prendetevela! ho usato il femminile perché suonava meglio ma vale anche per i maschietti..

AIUTIAMOLI

Cari a me sconosciuti lettori. E sottolineo sconosciuti perché in effetti non so quali persone leggeranno queste mie poche righe. Righe che cercherò nel mio possibile di rendere interessanti e soprattutto esplicite, nel piccolo, ma importante messaggio che sto per darvi e che spero conserviate sempre nell’animo. Potreste, dopo averlo letto, se non addirittura nel mentre, non condividere. Ma io non chiedo, ne ho giudizi da dare per chi non la pensa come me. Inizierei con il classico motto: “AIUTIAMO I PIU’ DEBOLI”. Ma non posso. Non posso perché i “deboli” che io personalmente aiuto, non sono ne bambini ne anziani, i quali, anche se non ancora abbastanza, la nostra società cerca di aiutare al meglio. I miei deboli sono pelosi, morbidi, delle volte puzzolenti e forniti anche di una bella dentatura appuntita… Credo sia chiaro ormai, che i miei deboli non sono esseri umani ma altri esseri viventi: i cani.Oggi nel 2006 molte associazioni come ENPA o come LAI cercano nel migliore dei modi di salvaguardare la loro esistenza. Ma purtroppo non è ancora abbastanza. Dobbiamo fare di più! Dobbiamo aiutarli! Quando ognuno di noi esce, può incontrare per le strade tanti cagnolini, da quello piccolino a quello gigante. Incontrandoli spesso non pensiamo che queste creature, abbandonate al loro destino “lottano” ogni dì per procurarsi il cibo, l’acqua e perché no anche qualche carezza. Magari riescono anche ad ottenere tutte queste cose… ma ahimè, non sempre hanno la fortuna di incontrare anime buone. Ci sono infatti persone che non si limitano ad essere indifferenti nei loro confronti (atteggiamento comprensibile, per chi per forza maggiore, non riesce proprio ad amarli); alcune persone, dicevo, e non riesco a capire per quale motivo, li maltrattano o addirittura provano odio nei loro confronti. Vorrei comprendere questo loro modo di fare. Li giustifico dicendomi che forse queste spregevoli persone non hanno amore da dare oppure hanno rabbia nell’animo, che sfogano con creature indifese come i cani, i quali invece non riuscirebbero mai a farci del male. Loro sono anime buone e sono convinta che la loro presenza nella nostra vita terrena sia indispensabile perché riescono a far sentire importanti persone sole, che magari grazie alla loro presenza non si sentono abbandonate e ricevono amore senza alcun fine. Loro ci amano perché sono creati per noi e so per certo che chi ne possiede uno comprende quello che voglio far capire. Amiamoli e proteggiamoli. E se siamo testimoni di maltrattamenti informiamo chi di dovere e vedrete che il nostro piccolo aiuto renderà la vita di chi subisce queste ingiustizie più dignitosa; perché anche loro hanno il diritto di essere rispettati. Nei loro occhi c’è innocenza… guardateli con attenzione… non chiedono altro che amore… e magari, perché no, quella pasta che di solito preferiamo buttare. AIUTIAMOLI! Kaput?
Giada