sabato, settembre 01, 2007

Raccontarsi scrivendo

Attualmente lavoro sulle colline dell’Appennino tosco-Emiliano, dove dopo il lavoro, tra una lettura e l’altra e un po’ di buona musica, prendo spunto per scarabocchiare su un foglio A4 a penna non avendo un computer a disposizione. È in questo modo che, a volte, c’è la possibilità di rompere con il quieto conformismo di una settimana che al lunedì comincia sempre uguale a se stessa. C’è da lavorare per tirare avanti o per coltivare il sogno di momenti diversi.

Attraverso questa specie di premessa mi veniva in mente la mia generazione, formatasi interiormente negli anni ’90 con la nascita dei centri sociali, con la passione tanto accesa quanto pervasa dal rispetto per la musica, la letteratura e l’arte in genere. Fu quello un momento decisivo per la formazione umana di quella generazione che attraverso quegli argomenti ebbe la possibilità di sprigionare rabbia e ribellione partendo dal basso, attraverso la nascita del progetto “Arzibanda” e confluito nella scoperta febbrile e abbagliante della consapevolezza politica. Anche se alcune valutazioni politiche non mi convincono completamente, sono stato comunque pronto per il mio sostegno ad un ideale. Attraverso queste riflessioni e vedendo crescere mio figlio, mi veniva in mente il mio paesino, Capistrello, dove restano inalterate le problematiche inerenti ad una gioventù pervasa da molti problemi; il lavoro che non c’è e la mancanza di strutture organizzate solo per citarne alcune. La loro voglia di cambiare la realtà è spesso rabbia inespressa, primitiva, ad alla mia età di 37 anni, l’idea di cambiamento non si alimenta solo con gli ideali… non c’è tempo. Il disagio giovanile di allora è equiparabile a quello di adesso e forse un modo per arginarlo è quello di creare strutture organizzate. Ma affermazioni come queste potrebbero essere bollate come demagogiche o ripetitive rimandando il problema alla mancanza d’impegno da parte dei giovani o alla mancanza di denaro. Questi motivi sono solo la punta di un grande iceberg, che in fin dei conti una collettività preferisce ignorare per evitare di guardarsi allo specchio troppo da vicino e scoprire che il nostro egoismo non ci fa guardare che la nostra faccia.

Teseo

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