Visualizzazione post con etichetta libri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta libri. Mostra tutti i post

domenica, novembre 01, 2009

ME LLAMAN DESAPARECIDO

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso, terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi gli “scomparsi”, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.
Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per descrivere una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…
g79@email.it

mercoledì, febbraio 25, 2009

IL RE DELL'AVANA

La prima lettura dell’anno è stata un’immersione veloce per divorare, riga dopo riga, la storia e le avventure di Rey, giovane cubano protagonista de Il re dell’Avana, romanzo duro e mai scontato di Pedro Juan Gutiérrez, un autore che il mio caro Fajoint non ha esitato a suggerirmi come il Bukowski dell’Avana. L’autore, nato nell’isola nel 1950, ha avuto modo di “crescere” insieme alla Rivoluzione castrista, ma Gutiérrez è bravo, in questo libro, a non trattare mai direttamente quella stessa rivoluzione, a non nominarla, lasciando solo intuire al lettore quello che ha significato e continua a significare per la popolazione e per tutto l’ambiente cubano, senza facili retoriche e senza frasi già dette e sentite. Così Il re dell’Avana è “semplicemente” un romanzo che parla di una storia di un amore impossibile in una Cuba nascosta e poco conosciuta a noi occidentali; una Cuba di derelitti, poveri e incapaci, possessori di un’unica ricchezza: il proprio corpo. Un corpo da vendere agli angoli delle strade, sulle panchine del Malecòn o su materassi lerci in ricoveri di fortuna; per pochi spiccioli, per una bottiglia di rum o per un cartoccio di manì, ma anche e soprattutto per un po’ di felicità: quella negata a chi non ha vissuto altro che la miseria e le difficoltà di una vita passata tra riformatori e immondizia e che solo grazie al sesso riesce a fare capolino nelle vite di Rey, Magda e di tutti gli altri personaggi che compaiono in questo sconfortante affresco. Una felicità che, paradossalmente, consente a Rey di attribuirsi il titolo regale solo perché in possesso di un membro fenomenale e di due perlajanas incastonate nel glande che fanno letteralmente impazzire le giovani jineteras, i froci e le donne di ogni età; ma anche una felicità che in questo angolo di mondo non può essere destinata a durare a lungo, e che non riuscirà a impedire il tragico finale di quella stessa storia d’amore che consentiva ai due giovani di guardare al presente e al futuro con occhi più leggeri. Scritto con ritmo incalzante, senza filtri e senza mediazione alcuna nel linguaggio, Il re dell’Avana aiuta a guardare la bella e solare Cuba da un’ottima prospettiva e lei, stella polare e sogno utopico di diverse generazioni ne esce per quello che è oggi: un’isola affamata di sesso ma che più di una volta sembra non farcela ad andare avanti, un’isola stanca e bugiarda, povera ma pur sempre con il sorriso sulle labbra…



Il re dell’Avana. Pedro Juan Gutierrez – Edizioni E/O – € 8,00