lunedì, settembre 20, 2010

Editoriale


Kaput è vivo e lotta insieme a voi signore e signori. Sì, siamo tornati, che in effetti era un po’ troppo che le nostre copie non facevano bella copia di sé sui banconi dei nostri bar. Ci siamo allontanti per un tantino da voi, cari lettori, ma capirete che impegnati come siamo a cercare il vero senso della vita e a filosofeggiare sul perché il mondo vada così a puttane non è che di tempo ne rimanga poi così tanto da dedicare alle pubblicazioni. Ci siamo ancora però, e torniamo oggi con un numero “vario ed eventuale”, come piace a noi, per intrattenervi e farvi riflettere un po’. Buona lettura kaputtisti, e che il vento di questo paese sia sempre con voi!

Lo vino bbòno se vénne senza fràsca

Tratto da Dieci proverbi sul matrimonio a Capistrello di Gianfranco Ricci, articolo apparso sul numero 26 della rivista «Aequa».


Lo vino bbòno se vénne senza fràsca

Quando un’osteria aveva buon vino, non aveva bisogno di esporre la tipica “insegna”: gli avventori non mancavano. Così, al momento buono per sposarsi, i giovani sanno già chi ha delle doti e chi no, a prescindere dalla apparenze e dai denari.

È meglio jò sammuco nnànzi càsta, che la fìcora alla vigna
Il sambuco non produce frutti, nè se ne ricava legna da ardere. Apparentemente, quindi, è una pianta inutile. Però, se lo si ha davanti casa, è più al sicuro del miglior albero da frutta posto fuori dal proprio controllo. Il detto apparentemente si riferisce ai beni economici, ma è usato anche come variante locale del noto “Mogli e buoi dei paesi tuoi”.

La zìta che ssé trìca, bbène se marita
La fretta non è mai buona consigliera, e anche nello scegliersi un compagno conviene fare scelte oculate. In tempi in cui ci si sposava giovani, però, più che altro questo proverbio era di consolazione per chi arrivava in ritardo alla mèta.

Chi troppo càpa, sporco cocìna.
Come spesso accade, questo proverbio è l’esatta negazione del precedente. Alla lettera, si riferisce a quelle massaie che, tra i banche del mercato, vanno sempre a cercare le verdure più turgide e pulite, con l’evidente intenzione di non perdere tempo a mondarle. Ma la metafora è evidente: c’è chi ha cambiato spesso partner, e alla fine si è accasato con il peggiore.

Se sposa pe’ ricchezza, pe’ bellezza, o pe’ bbontà.
C’è chi guarda alle doti e chi alla dote. Comunque, ci si sposa o per amore o per interesse, tertium non datur. Il detto è volutamente neutro, valido sia per l’uomo che per la donna.

È meglio ‘no marito càno-càno che ‘no fratéglio caro-caro
Per quanto malvagio possa essere un marito, è comunque preferibile legarsi a un uomo e crearsi una famiglia propria piuttosto che fare affidamento sugli affetti della propria famiglia d’origine, soggetti con gli anni ai mutamenti. Oggi, per fortuna, non ci si sposa più per “utilità”, e infatti il proverbio è raro nell’uso comune.

Chi tè la moglie bbèlla sempre cànta, e chi tè tanti quatrini sempre conta
È l’eterno dilemma: sposarsi per amore o per denaro? Il proverbio in effetti non dà risposte, si limita a sintetizzare le due situazioni, ponendole sullo stesso piano, seppure lasciando trasparire la preferenza per la seconda ipotesi, cui dà maggiore enfasi.

È méglio ‘no cùcchimo rùtto, che senza gnènde ‘n tutto
Come e quale che sia il partner, l’importante è che ci sia. Visione certamente superata dai giovani di oggi, ma utilitaristicamente, invece, molto presente nel passato.
Omo assorato, amico perduto
Il matrimonio inevitabilmente allontana dagli amici. Stranamente, però, la constatazione la fa sempre l’amico scapolo, mentre chi si sposa, se lo fa per amore, non vede come un sacrificio la rinuncia alle vecchie abitudini.

L'articolo di Inthenino

Ci sono dei momenti in cui un uomo non ha bisogno di parole per raccontare una storia... Quando quest’uomo si chiama InTheNino e la voglia di usarle, le parole, viene meno be’... il risultato è questo:
http://soundcloud.com/inthenino/inthenino-settembre2010
Buon ascolto signori!

L'animale che mi porto dentro

Ci sono panni stesi ad asciugare da queste parti. È domenica mattina e i bambini continuano a venire al mondo anche se i concerti costano troppo, le tasche son sempre bucate e gli affitti da saldare soffiano sul collo a ricordarti che l’aria è buona ma di questi tempi costa cara. Intanto qua vicino costruiscono case di lamiera e polvere. Le fanno dentro i nidi di merlo sui ciliegi in fiore. Dicono che è facile, che basta trovare il giusto equilibrio nell’impasto e poi è fatta; si possono innalzare fino anche al terzo piano se si è bravi nel prepararlo, l’impasto. Per gli intonaci, invece, servono i professionisti, ma pure quelli sembra si facciano pagare un bel po’. E comunque oltre al terzo piano proprio non si può andare, che se poi fa il terremoto cade tutto giù in un attimo. Io intanto osservo dal bar, che quando arrivo in un posto nuovo, per conoscerlo, devo andare a sentirne gli odori e gli umori nei luoghi in cui l’umanità si incontra e beve birra o prende semplicemente un caffè discutendo del derby che verrà. E allora, dai tavoli che tornano a riempire i marciapiedi in questa primavera un po’ così, è facile provare a scorgere case e cose nuove all’orizzonte, anche se si tornano a incontrare per qualche ora i passati e le vecchie conoscenze, che ora è bello anche solo raccontarsi “come ci va” in questa città che sa bene come tagliarti le gambe quando ne ha voglia.
E che poi a tutti vada un po’ a cazzo è altro discorso, scontato quanto basta per ricordarci che dalla merda è difficile uscirne e che beato è chi ci riesce. C’è crisi, nera, e non è una novità. Le facce sono scure e qualcuno ha già ha cominciato a richiudere il cassetto dei propri desideri.
Restano i limoni, quelli che riempiono ancora le bottiglie. I pedali che spingono le gomme gonfie sull’asfalto e gli umori che si confondono tra le lenzuola. E allora fanculo se la mia casa di lamiera e polvere forse non ce l’avrò mai. Se le tengano pure. Io ora mi siedo qui, tra un tram e i passanti intorpiditi. Stappo una familiare di Peroni e mi sciacquo la bocca dalle bacche selvatiche e dalla pioggia vulcanica. E mi metto nudo alla finestra del mio seminterrato senza balcone. E schiarisco la voce. E gracchio.
g79@email.it

Uno

Per raccontare storie che, purtroppo, diventano sempre più comuni, bisogna mettersi nei panni di una persona comune, UNO di noi, forse noi stessi.
Immaginiamo di vivere a Roma, capitale politica del nostro Paese, l’Italia, famosa per la propria storia e cultura. Siamo tanti, troppi e ci aggiriamo, nel disordinato disinteresse delle persone, in una città impreparata ad essere metropoli.
Oggi da tanti diventiamo UNO: un lavoratore alla fine di una giornata di lavoro, in particolare un educatore che spende il proprio tempo con persone disabili, inserito in una delle tante cooperative socio-sanitarie presenti in città. Il cosiddetto “terzo settore” , che si occupa di “aiuto alla persona”, di garantire servizi fondamentali per la crescita civile e culturale di una città; cooperative che resistono alle difficoltà quotidiane, ai tagli costanti di quella politica miope che affonda sistematicamente la mannaia dei tagli, solo grazie all’impegno e alla costanza di persone responsabili e appassionate del loro lavoro.
Immaginiamo che oggi questo UNO stia camminando su una delle strade più trafficate del popoloso quartiere di Monteverde, nei pressi della Circonvallazione Gianicolense, non lontano dalla zona di Trastevere. Copre il solito tragitto, come ogni giorno, con commovente caparbietà, un andirivieni tra il posto di lavoro ed il suo motorino. Nella mente, di sicuro, il pensiero di trascorrere una buona serata, calda e piena di chiacchiericcio con amici e conoscenti; un paio d’orette da dedicare a se stessi dopo una densa giornata di lavoro.
Immaginiamo che le intenzioni del nostro UNO vengano improvvisamente interrotte. Sullo stesso marciapiede camminano due ragazzi: uno GRANDE (coetaneo del nostro UNO), l’altro più giovane (PICCOLO). Individui con cui si pensa di avere tutto in comune, quello strano sentimento di solidarietà implicita tra “esseri” che vivono una stessa condizione esistenziale, che condividono ansia, speranza e timore per un presente ed un futuro che non infondono sicurezza.
Potrebbe esserci un incontro di sguardi, un comune ignorarsi, un fugace cenno del viso che dimostri simpatia: niente di tutto questo. Il più GRANDE decide di interrompere l’andare del nostro UNO, il più giovane, con fare determinato e violento, ribadisce l’intenzione: “stai fermo qui! Dove credi di andare!”. Le minacce si fanno subito esplicite e dirette. I loro giubbotti stretti, neri e ben allacciati, stridono vistosamente nel caldo ormai estivo di Roma. Tra i due c’è gerarchia, c’è verticalità, il più piccolo osserva estasiato e addomesticato le gesta automatiche, folli e innaturali del GRANDE. “Lui è più grande di me! Merita rispetto! Obbedienza!”…sembra pensare il più PICCOLO.
L’incontro si fa teso…
“Che razza di maglietta porti!” esclama il GRANDE.
(la maglietta in questione è una t-shirt nera con una stella rossa nel mezzo)
La faccenda si fa seria, gli insulti sempre più insopportabili, sempre più offensivi. La maglietta sembra avere attirato addosso al nostro UNO tutto l’odio del mondo, tutto il disprezzo di cui solo un uomo sembra capace. La politica, lo stile di vita, gli amici, le passioni, lo sport: tutto sembra sbagliato su quella t-shirt. Il GRANDE e il PICCOLO hanno riempito quel tessuto di post it ideologici.., il nostro UNO è diventato ai loro occhi COMUNISTA, FROCIO, TERRONE, EBREO. L’odio si ripete, la storia si ripete e scorre come un rivolo carsico, riemerge quanto meno te lo aspetti, anche dietro una STELLA ROSSA
Il nostro sfortunato UNO cerca di mediare. Tenta il dialogo, si presenta, cerca di razionalizzare quella cieca follia, di dare forma al caos. TUTTO VANO, TUTTO SI DISPERDE NELL’ARIA che si fa pesante e tesa.
Il COMUNISTA-FROCIO-TERRONE-EBREO è solo e non può far nulla, se non subire. Il GRANDE, dopo aver reso esplicito questo pensiero, guarda, con occhi colmi d’odio e vuoti di tutto il resto, l’UNO….”vogliamo ad OGNI COSTO la tua maglia!”.
Spogliarlo, renderlo nudo vorrà dire fare “igiene nel mondo”, ripulirlo dalla diversità che sconcerta e fa paura.
L’agitazione di tutti i protagonisti della scena continua a crescere, finché arriva qualche spinta di troppo e la violenza diventa incontrollabile.
Il nostro UNO si arrende e cede la maglietta agli aggressori.
Il GRANDE e il PICCOLO con il loro “bottino da pirati fascisti” si dileguano tra le macchina di una ROMA troppo distratta e impegnata per accorgersi di loro.
Il nostro UNO è spaventato, ma sa anche che sarebbe potuto finire peggio: corcarto, sdrumato, caricato de mazzate.
Lo sconforto, l’amarezza, la tristezza è totale!
Il nostro, ormai famoso, UNO è assalito da mille pensieri, si sente nudo, spogliato, e non per l’assenza della maglietta. In un attimo tutto il suo lavoro, tutta la sua dedizione, il suo impegno costante si è rivelato inutile, deludente senza via di scampo. La povertà di spirito e il vuoto culturale di cui è capace l’uomo hanno creato intorno a lui un silenzio assordante e inquietante. Anni spesi alla ricerca di un mondo migliore, di un’umanità benevola e dignitosa si svuotano di significato di fronte a DUE RAGAZZI, carnefici spietati e vittime inconsapevoli di un modo che tende alla “desertificazione” delle personalità, all’omologazione becera, allo svilimento delle esistenze; un mondo sempre in “svendita e in offerta speciale” . Una società che instilla e tende sistematicamente al culto della personalità, all’egocentrismo , al formalismo, al ritualismo depravante e allo smarrimento del senso critico, crea, necessariamente, individui oppressi e violenti e quindi per definizione infelici.
In altri in altri tempi la storia avrebbe avuto un epilogo diverso: L’UNO avrebbe invitato a casa (porto di mare) il GRANDE e il PICCOLO, avrebbero semplicemente trascorso una serata insieme, come tra amici…come tra SIMILI.
È dall’attenzione all’UNO che bisogna ripartire per dare senso e dignità ai MOLTI.
Il sonno della regione genera mostri
n.b. per fortuna il nostro UNO non è stato mai in questa storia veramente UNO fino in fondo, sotto quella stella rossa c’era un cuore e dietro quel cuore milioni di piccoli UNO felici, leali, sereni e tristi, combattivi, tenaci e spensierati, seri e frivoli, dignitosi e speso ubriachi.
Questi UNO hanno fatto di te un UNO così.

teteche@libero.it

Roma

Roma. Città eterna.
Città dalle mille personalità,
gente diversa immersa nei propri problemi.
Città dipinta con colori
Testimoni di etnie differenti,
dipinta di quella luce riflessa
nei visi delle persone.
Quante volte ho sognato
Fumare la sua essenza,
e quante volte adesso abuso di lei
fregandomene delle sue ritorsioni.
Roma. Città d’arte.
Città imbevuta di sapienti,
città sfruttata dagli ignoranti.
Se solo qualcuno dicesse basta
Per un momento, si potrebbe
Ascoltare cosa ha da dire questa signora,
così anziana, ritoccata con pennelli falsi.
Cosa avrà da dire?
Bloccherebbe l’insensibilità di questi piccoli uomini
Affogati nel traffico e sussurrerebbe ai loro
Cuori parole,solo parole ingiallite
Di esperienza, parole capaci di assecondare
Ogni piccola richiesta.
Urlerebbe grida di rabbia,
ingessata e repressa,
diventerebbe animatrice degli animi indifferenti.
Piangerebbe lacrime capaci di rimanere
Sulla superficie del fiume,
lacrime caratterizzate da sentimenti invisibili,
lacrime che darebbero un sorriso ai poveri,
lacrime che fermerebbero violenze inaudite,
lacrime che supererebbero gli argini
dell’ incoscienza e devasterebbero l’indifferenza.
Roma, parlaci della tua essenza.

Germana De Meis

On air from Australia

Il 24 maggio in Australia è autunno inoltrato. Fra qualche giorno inizierà l’inverno e alle 4 di pomeriggio ci sono 20°. Sto nell’area free di un mc donald e mi guardo attorno. L’Australia per molti versi è simile agli Stati Uniti a cui siamo abituati dai film. Grandi macchine, grandi strade, grandi case, grandi centri commerciali, gente grassa che mangia di tutto e a tutte le ore ma soprattutto un cielo immenso, mostruosamente grande da lasciarti senza fiato. Ammetto che il mio occhio montanaro non è abituato a questa grandezza perché la nostra visuale è sempre un po’ bloccata dalle montagne e dalle nuvole, però questo cielo è veramente esteso e sembra anche molto più vicino, quasi possibile da toccare.
Arrivo a Perth in un giorno di pioggia e resto un po’ delusa... volevo il sole, tanto sole, dopo un inverno rigido come quello di quest’anno; sull’aereo mi metto le ciabatte, esco dall’aeroporto aspettandomi temperature estive e invece, fa un po’ freschetto e mi tocca rimettere le converse. No, le scarpe no! Le odio! Voglio camminare scalza ma niente; piove e fa pure freddo però il panorama che ho di fronte è diverso, non è Capistrello, ci sono palme di tutte le dimensioni, alberi mai visti e tanti pappagallini verdi che volano in cerca di cibo come da noi fanno i piccioni. Insieme a loro ci sono anche molti corvi e gabbiani che fanno una bella confusione con i loro versi. Una strana sensazione mi accompagna, per mettere a fuoco che sono dall’altra parte del globo ci metto qualche giorno complice anche il fuso orario che mi ha fatto dormire agli orari più assurdi! Il jet leg ti colpisce all’improvviso come un rovescio di Jack La Motta e tu non puoi fare altro che addormentarti di colpo come se non lo facessi da secoli! Comunque dopo la prima settimana di stand-by tutto inizia a essere estremamente piacevole. Il giorno ci sono sempre 30° e si mangia all’aperto, vivo a casa con due ragazzi italiani, una ragazza colombiana dolcissima e un po’ pazza e il mio fantastico amore. Sì, sono venuta qui solo per lui ma visto che mi ci trovo mi godo il posto! La città è piena di parchi e zone verdi dove fare pic-nic, correre e dormire, c’è un fiume enorme che la divide in due ed è tutto contornato da percorsi ciclabili. Tutti fanno sport, corrono con l’i-pod al braccio e portano a spasso i cani... sembra un po’ il Truman show, sono tutti sorridenti, cordiali, gentili, tranquilli e benestanti. In Australia non c’è povertà, non esiste la parola disoccupazione, sono tutti corretti e precisi come appena usciti da un corso di bon ton. Poi arriva il week end e succede l’incredibile... ovunque ti giri, anche in una pompa di benzina, non c’è una persona seria... sono tutti ubriachi da non stare in piedi! Qui gli stipendi sono settimali quindi il fine settimana hanno tutti il portafoglio pieno e una voglia incredibile di lasciarsi andare... eh sì “gli australiani gente strana!” direbbe qualcuno, capaci di andare scalzi anche in banca, di vievere tutta la vita senza indossare le mutande, cordiali e quasi stucchevoli coi loro modi di fare gentili ma poco pronti a stringere amicizie vere, divorano tutto ciò che è commestibile facendo degli accostamenti che per qualsiasi italiano sarebbero folli, capaci di ubriacarsi per 3 giorni di fila e tornare a lavorare il giorno dopo senza battere ciglio (anche in Italia in realtà ne conosco un po’ :D), consumisti fino all’inverosimile però attentissimi a non buttare una cicca per terra o a pisciare in un prato, fiscali come pochi e attenti alle regole ma pronti a farsi multare per ubriachezza molesta, abbastanza ignoranti perché a 12 anni qui si può scegliere di lavorare e, aggiungo, di GUADAGNARE, attaccatissimi a quelle poche tracce di passato che hanno essendo una nazione relativamente giovane, patriottici e ovviamente diversi perché cresciuti in un posto diverso da qualsiasi altro al mondo.
L’Australia sa un po’ di Africa per al sua vegetazione "esotica", sa di occidentale per il consumismo e i modi di fare, sa di orientale per la sua vicinanza alle isole asiatiche dell’oceano indiano e per la sempre crescente massa di cinesi & co. che arrivano ogni giorno e aprono ristoranti e negozi e sa di un sapore tutto suo fatto di animali, alberi, deserti e spiagge che non trovano posto in nessun’altra parte del mondo. Vista dall’alto dell’aereo è un immenso deserto rosso in mezzo ad un oceano blu ma da vicino ci sono anche folti parchi ricchi di alberi dalle radici immense e dalle altezze esagerate, piante e fiori unici al mondo e poi gli animali che tutti conosciamo... troppo belli!
Che dirvi di più... La scoperta ha un gusto delizioso.
fagiolina

lunedì, luglio 05, 2010

martedì, aprile 06, 2010


Il nostro caro amico Roberto Cipollone ci ha segnalato un suo set fotografico realizzato tra le strade e i vicoli del centro storico di Capistrello. Sono immagini belle e suggestive che danno colore e intensità a una parte del nostro Paese troppo spesso dimenticata e siamo contenti ed orgogliosi di ospitarle sulle nostre pagine web.
Per cominciare la passeggiata virtuale tra le piazze, le scalinate e gli orti del "Ricetto" e della "Cammerata" potete cliccare qui.
Buon viaggio.

domenica, aprile 04, 2010

Editoriale

Kaput torna dopo le elezioni e per la prima volta nel 2010, che il clima pre elettorale ci sembrava già abbastanza teso e abbiamo preferito mantenere un basso profilo. Ora che abbiamo di nuovo un sindaco magari le pubblicazioni torneranno a essere anche più regolari e vedremo di essere presenti quando ce ne sarà bisogno. Intanto sentiti ringraziamenti per questo numero vanno ad Enzo per le sue massime filosofiche, al tipografo Cachino e al grande Vituzzo, il porno attore truzzo.
Ora si riparte con la distribuzione nelle peggiori bettole del paese, se poi stasera vi va, ci si vede presso la sede dell’Arzibanda per una riunione programmatica aperta a tutti in vista della quattordicesima edizione... che qua sindaci o non sindaci, le associazioni, tutte, il lavoro lo continuano a fare sempre e comunque. Ah, a tal proposito vorremmo anche ricordare a chi ha fatto insinuazioni sulla nostra manifestazione in questi giorni di delirio pre-elettorale che le nostre idee non sono MAI state in vendita...