lunedì, settembre 20, 2010

Editoriale


Kaput è vivo e lotta insieme a voi signore e signori. Sì, siamo tornati, che in effetti era un po’ troppo che le nostre copie non facevano bella copia di sé sui banconi dei nostri bar. Ci siamo allontanti per un tantino da voi, cari lettori, ma capirete che impegnati come siamo a cercare il vero senso della vita e a filosofeggiare sul perché il mondo vada così a puttane non è che di tempo ne rimanga poi così tanto da dedicare alle pubblicazioni. Ci siamo ancora però, e torniamo oggi con un numero “vario ed eventuale”, come piace a noi, per intrattenervi e farvi riflettere un po’. Buona lettura kaputtisti, e che il vento di questo paese sia sempre con voi!

Lo vino bbòno se vénne senza fràsca

Tratto da Dieci proverbi sul matrimonio a Capistrello di Gianfranco Ricci, articolo apparso sul numero 26 della rivista «Aequa».


Lo vino bbòno se vénne senza fràsca

Quando un’osteria aveva buon vino, non aveva bisogno di esporre la tipica “insegna”: gli avventori non mancavano. Così, al momento buono per sposarsi, i giovani sanno già chi ha delle doti e chi no, a prescindere dalla apparenze e dai denari.

È meglio jò sammuco nnànzi càsta, che la fìcora alla vigna
Il sambuco non produce frutti, nè se ne ricava legna da ardere. Apparentemente, quindi, è una pianta inutile. Però, se lo si ha davanti casa, è più al sicuro del miglior albero da frutta posto fuori dal proprio controllo. Il detto apparentemente si riferisce ai beni economici, ma è usato anche come variante locale del noto “Mogli e buoi dei paesi tuoi”.

La zìta che ssé trìca, bbène se marita
La fretta non è mai buona consigliera, e anche nello scegliersi un compagno conviene fare scelte oculate. In tempi in cui ci si sposava giovani, però, più che altro questo proverbio era di consolazione per chi arrivava in ritardo alla mèta.

Chi troppo càpa, sporco cocìna.
Come spesso accade, questo proverbio è l’esatta negazione del precedente. Alla lettera, si riferisce a quelle massaie che, tra i banche del mercato, vanno sempre a cercare le verdure più turgide e pulite, con l’evidente intenzione di non perdere tempo a mondarle. Ma la metafora è evidente: c’è chi ha cambiato spesso partner, e alla fine si è accasato con il peggiore.

Se sposa pe’ ricchezza, pe’ bellezza, o pe’ bbontà.
C’è chi guarda alle doti e chi alla dote. Comunque, ci si sposa o per amore o per interesse, tertium non datur. Il detto è volutamente neutro, valido sia per l’uomo che per la donna.

È meglio ‘no marito càno-càno che ‘no fratéglio caro-caro
Per quanto malvagio possa essere un marito, è comunque preferibile legarsi a un uomo e crearsi una famiglia propria piuttosto che fare affidamento sugli affetti della propria famiglia d’origine, soggetti con gli anni ai mutamenti. Oggi, per fortuna, non ci si sposa più per “utilità”, e infatti il proverbio è raro nell’uso comune.

Chi tè la moglie bbèlla sempre cànta, e chi tè tanti quatrini sempre conta
È l’eterno dilemma: sposarsi per amore o per denaro? Il proverbio in effetti non dà risposte, si limita a sintetizzare le due situazioni, ponendole sullo stesso piano, seppure lasciando trasparire la preferenza per la seconda ipotesi, cui dà maggiore enfasi.

È méglio ‘no cùcchimo rùtto, che senza gnènde ‘n tutto
Come e quale che sia il partner, l’importante è che ci sia. Visione certamente superata dai giovani di oggi, ma utilitaristicamente, invece, molto presente nel passato.
Omo assorato, amico perduto
Il matrimonio inevitabilmente allontana dagli amici. Stranamente, però, la constatazione la fa sempre l’amico scapolo, mentre chi si sposa, se lo fa per amore, non vede come un sacrificio la rinuncia alle vecchie abitudini.

L'articolo di Inthenino

Ci sono dei momenti in cui un uomo non ha bisogno di parole per raccontare una storia... Quando quest’uomo si chiama InTheNino e la voglia di usarle, le parole, viene meno be’... il risultato è questo:
http://soundcloud.com/inthenino/inthenino-settembre2010
Buon ascolto signori!

L'animale che mi porto dentro

Ci sono panni stesi ad asciugare da queste parti. È domenica mattina e i bambini continuano a venire al mondo anche se i concerti costano troppo, le tasche son sempre bucate e gli affitti da saldare soffiano sul collo a ricordarti che l’aria è buona ma di questi tempi costa cara. Intanto qua vicino costruiscono case di lamiera e polvere. Le fanno dentro i nidi di merlo sui ciliegi in fiore. Dicono che è facile, che basta trovare il giusto equilibrio nell’impasto e poi è fatta; si possono innalzare fino anche al terzo piano se si è bravi nel prepararlo, l’impasto. Per gli intonaci, invece, servono i professionisti, ma pure quelli sembra si facciano pagare un bel po’. E comunque oltre al terzo piano proprio non si può andare, che se poi fa il terremoto cade tutto giù in un attimo. Io intanto osservo dal bar, che quando arrivo in un posto nuovo, per conoscerlo, devo andare a sentirne gli odori e gli umori nei luoghi in cui l’umanità si incontra e beve birra o prende semplicemente un caffè discutendo del derby che verrà. E allora, dai tavoli che tornano a riempire i marciapiedi in questa primavera un po’ così, è facile provare a scorgere case e cose nuove all’orizzonte, anche se si tornano a incontrare per qualche ora i passati e le vecchie conoscenze, che ora è bello anche solo raccontarsi “come ci va” in questa città che sa bene come tagliarti le gambe quando ne ha voglia.
E che poi a tutti vada un po’ a cazzo è altro discorso, scontato quanto basta per ricordarci che dalla merda è difficile uscirne e che beato è chi ci riesce. C’è crisi, nera, e non è una novità. Le facce sono scure e qualcuno ha già ha cominciato a richiudere il cassetto dei propri desideri.
Restano i limoni, quelli che riempiono ancora le bottiglie. I pedali che spingono le gomme gonfie sull’asfalto e gli umori che si confondono tra le lenzuola. E allora fanculo se la mia casa di lamiera e polvere forse non ce l’avrò mai. Se le tengano pure. Io ora mi siedo qui, tra un tram e i passanti intorpiditi. Stappo una familiare di Peroni e mi sciacquo la bocca dalle bacche selvatiche e dalla pioggia vulcanica. E mi metto nudo alla finestra del mio seminterrato senza balcone. E schiarisco la voce. E gracchio.
g79@email.it

Uno

Per raccontare storie che, purtroppo, diventano sempre più comuni, bisogna mettersi nei panni di una persona comune, UNO di noi, forse noi stessi.
Immaginiamo di vivere a Roma, capitale politica del nostro Paese, l’Italia, famosa per la propria storia e cultura. Siamo tanti, troppi e ci aggiriamo, nel disordinato disinteresse delle persone, in una città impreparata ad essere metropoli.
Oggi da tanti diventiamo UNO: un lavoratore alla fine di una giornata di lavoro, in particolare un educatore che spende il proprio tempo con persone disabili, inserito in una delle tante cooperative socio-sanitarie presenti in città. Il cosiddetto “terzo settore” , che si occupa di “aiuto alla persona”, di garantire servizi fondamentali per la crescita civile e culturale di una città; cooperative che resistono alle difficoltà quotidiane, ai tagli costanti di quella politica miope che affonda sistematicamente la mannaia dei tagli, solo grazie all’impegno e alla costanza di persone responsabili e appassionate del loro lavoro.
Immaginiamo che oggi questo UNO stia camminando su una delle strade più trafficate del popoloso quartiere di Monteverde, nei pressi della Circonvallazione Gianicolense, non lontano dalla zona di Trastevere. Copre il solito tragitto, come ogni giorno, con commovente caparbietà, un andirivieni tra il posto di lavoro ed il suo motorino. Nella mente, di sicuro, il pensiero di trascorrere una buona serata, calda e piena di chiacchiericcio con amici e conoscenti; un paio d’orette da dedicare a se stessi dopo una densa giornata di lavoro.
Immaginiamo che le intenzioni del nostro UNO vengano improvvisamente interrotte. Sullo stesso marciapiede camminano due ragazzi: uno GRANDE (coetaneo del nostro UNO), l’altro più giovane (PICCOLO). Individui con cui si pensa di avere tutto in comune, quello strano sentimento di solidarietà implicita tra “esseri” che vivono una stessa condizione esistenziale, che condividono ansia, speranza e timore per un presente ed un futuro che non infondono sicurezza.
Potrebbe esserci un incontro di sguardi, un comune ignorarsi, un fugace cenno del viso che dimostri simpatia: niente di tutto questo. Il più GRANDE decide di interrompere l’andare del nostro UNO, il più giovane, con fare determinato e violento, ribadisce l’intenzione: “stai fermo qui! Dove credi di andare!”. Le minacce si fanno subito esplicite e dirette. I loro giubbotti stretti, neri e ben allacciati, stridono vistosamente nel caldo ormai estivo di Roma. Tra i due c’è gerarchia, c’è verticalità, il più piccolo osserva estasiato e addomesticato le gesta automatiche, folli e innaturali del GRANDE. “Lui è più grande di me! Merita rispetto! Obbedienza!”…sembra pensare il più PICCOLO.
L’incontro si fa teso…
“Che razza di maglietta porti!” esclama il GRANDE.
(la maglietta in questione è una t-shirt nera con una stella rossa nel mezzo)
La faccenda si fa seria, gli insulti sempre più insopportabili, sempre più offensivi. La maglietta sembra avere attirato addosso al nostro UNO tutto l’odio del mondo, tutto il disprezzo di cui solo un uomo sembra capace. La politica, lo stile di vita, gli amici, le passioni, lo sport: tutto sembra sbagliato su quella t-shirt. Il GRANDE e il PICCOLO hanno riempito quel tessuto di post it ideologici.., il nostro UNO è diventato ai loro occhi COMUNISTA, FROCIO, TERRONE, EBREO. L’odio si ripete, la storia si ripete e scorre come un rivolo carsico, riemerge quanto meno te lo aspetti, anche dietro una STELLA ROSSA
Il nostro sfortunato UNO cerca di mediare. Tenta il dialogo, si presenta, cerca di razionalizzare quella cieca follia, di dare forma al caos. TUTTO VANO, TUTTO SI DISPERDE NELL’ARIA che si fa pesante e tesa.
Il COMUNISTA-FROCIO-TERRONE-EBREO è solo e non può far nulla, se non subire. Il GRANDE, dopo aver reso esplicito questo pensiero, guarda, con occhi colmi d’odio e vuoti di tutto il resto, l’UNO….”vogliamo ad OGNI COSTO la tua maglia!”.
Spogliarlo, renderlo nudo vorrà dire fare “igiene nel mondo”, ripulirlo dalla diversità che sconcerta e fa paura.
L’agitazione di tutti i protagonisti della scena continua a crescere, finché arriva qualche spinta di troppo e la violenza diventa incontrollabile.
Il nostro UNO si arrende e cede la maglietta agli aggressori.
Il GRANDE e il PICCOLO con il loro “bottino da pirati fascisti” si dileguano tra le macchina di una ROMA troppo distratta e impegnata per accorgersi di loro.
Il nostro UNO è spaventato, ma sa anche che sarebbe potuto finire peggio: corcarto, sdrumato, caricato de mazzate.
Lo sconforto, l’amarezza, la tristezza è totale!
Il nostro, ormai famoso, UNO è assalito da mille pensieri, si sente nudo, spogliato, e non per l’assenza della maglietta. In un attimo tutto il suo lavoro, tutta la sua dedizione, il suo impegno costante si è rivelato inutile, deludente senza via di scampo. La povertà di spirito e il vuoto culturale di cui è capace l’uomo hanno creato intorno a lui un silenzio assordante e inquietante. Anni spesi alla ricerca di un mondo migliore, di un’umanità benevola e dignitosa si svuotano di significato di fronte a DUE RAGAZZI, carnefici spietati e vittime inconsapevoli di un modo che tende alla “desertificazione” delle personalità, all’omologazione becera, allo svilimento delle esistenze; un mondo sempre in “svendita e in offerta speciale” . Una società che instilla e tende sistematicamente al culto della personalità, all’egocentrismo , al formalismo, al ritualismo depravante e allo smarrimento del senso critico, crea, necessariamente, individui oppressi e violenti e quindi per definizione infelici.
In altri in altri tempi la storia avrebbe avuto un epilogo diverso: L’UNO avrebbe invitato a casa (porto di mare) il GRANDE e il PICCOLO, avrebbero semplicemente trascorso una serata insieme, come tra amici…come tra SIMILI.
È dall’attenzione all’UNO che bisogna ripartire per dare senso e dignità ai MOLTI.
Il sonno della regione genera mostri
n.b. per fortuna il nostro UNO non è stato mai in questa storia veramente UNO fino in fondo, sotto quella stella rossa c’era un cuore e dietro quel cuore milioni di piccoli UNO felici, leali, sereni e tristi, combattivi, tenaci e spensierati, seri e frivoli, dignitosi e speso ubriachi.
Questi UNO hanno fatto di te un UNO così.

teteche@libero.it

Roma

Roma. Città eterna.
Città dalle mille personalità,
gente diversa immersa nei propri problemi.
Città dipinta con colori
Testimoni di etnie differenti,
dipinta di quella luce riflessa
nei visi delle persone.
Quante volte ho sognato
Fumare la sua essenza,
e quante volte adesso abuso di lei
fregandomene delle sue ritorsioni.
Roma. Città d’arte.
Città imbevuta di sapienti,
città sfruttata dagli ignoranti.
Se solo qualcuno dicesse basta
Per un momento, si potrebbe
Ascoltare cosa ha da dire questa signora,
così anziana, ritoccata con pennelli falsi.
Cosa avrà da dire?
Bloccherebbe l’insensibilità di questi piccoli uomini
Affogati nel traffico e sussurrerebbe ai loro
Cuori parole,solo parole ingiallite
Di esperienza, parole capaci di assecondare
Ogni piccola richiesta.
Urlerebbe grida di rabbia,
ingessata e repressa,
diventerebbe animatrice degli animi indifferenti.
Piangerebbe lacrime capaci di rimanere
Sulla superficie del fiume,
lacrime caratterizzate da sentimenti invisibili,
lacrime che darebbero un sorriso ai poveri,
lacrime che fermerebbero violenze inaudite,
lacrime che supererebbero gli argini
dell’ incoscienza e devasterebbero l’indifferenza.
Roma, parlaci della tua essenza.

Germana De Meis

On air from Australia

Il 24 maggio in Australia è autunno inoltrato. Fra qualche giorno inizierà l’inverno e alle 4 di pomeriggio ci sono 20°. Sto nell’area free di un mc donald e mi guardo attorno. L’Australia per molti versi è simile agli Stati Uniti a cui siamo abituati dai film. Grandi macchine, grandi strade, grandi case, grandi centri commerciali, gente grassa che mangia di tutto e a tutte le ore ma soprattutto un cielo immenso, mostruosamente grande da lasciarti senza fiato. Ammetto che il mio occhio montanaro non è abituato a questa grandezza perché la nostra visuale è sempre un po’ bloccata dalle montagne e dalle nuvole, però questo cielo è veramente esteso e sembra anche molto più vicino, quasi possibile da toccare.
Arrivo a Perth in un giorno di pioggia e resto un po’ delusa... volevo il sole, tanto sole, dopo un inverno rigido come quello di quest’anno; sull’aereo mi metto le ciabatte, esco dall’aeroporto aspettandomi temperature estive e invece, fa un po’ freschetto e mi tocca rimettere le converse. No, le scarpe no! Le odio! Voglio camminare scalza ma niente; piove e fa pure freddo però il panorama che ho di fronte è diverso, non è Capistrello, ci sono palme di tutte le dimensioni, alberi mai visti e tanti pappagallini verdi che volano in cerca di cibo come da noi fanno i piccioni. Insieme a loro ci sono anche molti corvi e gabbiani che fanno una bella confusione con i loro versi. Una strana sensazione mi accompagna, per mettere a fuoco che sono dall’altra parte del globo ci metto qualche giorno complice anche il fuso orario che mi ha fatto dormire agli orari più assurdi! Il jet leg ti colpisce all’improvviso come un rovescio di Jack La Motta e tu non puoi fare altro che addormentarti di colpo come se non lo facessi da secoli! Comunque dopo la prima settimana di stand-by tutto inizia a essere estremamente piacevole. Il giorno ci sono sempre 30° e si mangia all’aperto, vivo a casa con due ragazzi italiani, una ragazza colombiana dolcissima e un po’ pazza e il mio fantastico amore. Sì, sono venuta qui solo per lui ma visto che mi ci trovo mi godo il posto! La città è piena di parchi e zone verdi dove fare pic-nic, correre e dormire, c’è un fiume enorme che la divide in due ed è tutto contornato da percorsi ciclabili. Tutti fanno sport, corrono con l’i-pod al braccio e portano a spasso i cani... sembra un po’ il Truman show, sono tutti sorridenti, cordiali, gentili, tranquilli e benestanti. In Australia non c’è povertà, non esiste la parola disoccupazione, sono tutti corretti e precisi come appena usciti da un corso di bon ton. Poi arriva il week end e succede l’incredibile... ovunque ti giri, anche in una pompa di benzina, non c’è una persona seria... sono tutti ubriachi da non stare in piedi! Qui gli stipendi sono settimali quindi il fine settimana hanno tutti il portafoglio pieno e una voglia incredibile di lasciarsi andare... eh sì “gli australiani gente strana!” direbbe qualcuno, capaci di andare scalzi anche in banca, di vievere tutta la vita senza indossare le mutande, cordiali e quasi stucchevoli coi loro modi di fare gentili ma poco pronti a stringere amicizie vere, divorano tutto ciò che è commestibile facendo degli accostamenti che per qualsiasi italiano sarebbero folli, capaci di ubriacarsi per 3 giorni di fila e tornare a lavorare il giorno dopo senza battere ciglio (anche in Italia in realtà ne conosco un po’ :D), consumisti fino all’inverosimile però attentissimi a non buttare una cicca per terra o a pisciare in un prato, fiscali come pochi e attenti alle regole ma pronti a farsi multare per ubriachezza molesta, abbastanza ignoranti perché a 12 anni qui si può scegliere di lavorare e, aggiungo, di GUADAGNARE, attaccatissimi a quelle poche tracce di passato che hanno essendo una nazione relativamente giovane, patriottici e ovviamente diversi perché cresciuti in un posto diverso da qualsiasi altro al mondo.
L’Australia sa un po’ di Africa per al sua vegetazione "esotica", sa di occidentale per il consumismo e i modi di fare, sa di orientale per la sua vicinanza alle isole asiatiche dell’oceano indiano e per la sempre crescente massa di cinesi & co. che arrivano ogni giorno e aprono ristoranti e negozi e sa di un sapore tutto suo fatto di animali, alberi, deserti e spiagge che non trovano posto in nessun’altra parte del mondo. Vista dall’alto dell’aereo è un immenso deserto rosso in mezzo ad un oceano blu ma da vicino ci sono anche folti parchi ricchi di alberi dalle radici immense e dalle altezze esagerate, piante e fiori unici al mondo e poi gli animali che tutti conosciamo... troppo belli!
Che dirvi di più... La scoperta ha un gusto delizioso.
fagiolina

lunedì, luglio 05, 2010

martedì, aprile 06, 2010


Il nostro caro amico Roberto Cipollone ci ha segnalato un suo set fotografico realizzato tra le strade e i vicoli del centro storico di Capistrello. Sono immagini belle e suggestive che danno colore e intensità a una parte del nostro Paese troppo spesso dimenticata e siamo contenti ed orgogliosi di ospitarle sulle nostre pagine web.
Per cominciare la passeggiata virtuale tra le piazze, le scalinate e gli orti del "Ricetto" e della "Cammerata" potete cliccare qui.
Buon viaggio.

domenica, aprile 04, 2010

Editoriale

Kaput torna dopo le elezioni e per la prima volta nel 2010, che il clima pre elettorale ci sembrava già abbastanza teso e abbiamo preferito mantenere un basso profilo. Ora che abbiamo di nuovo un sindaco magari le pubblicazioni torneranno a essere anche più regolari e vedremo di essere presenti quando ce ne sarà bisogno. Intanto sentiti ringraziamenti per questo numero vanno ad Enzo per le sue massime filosofiche, al tipografo Cachino e al grande Vituzzo, il porno attore truzzo.
Ora si riparte con la distribuzione nelle peggiori bettole del paese, se poi stasera vi va, ci si vede presso la sede dell’Arzibanda per una riunione programmatica aperta a tutti in vista della quattordicesima edizione... che qua sindaci o non sindaci, le associazioni, tutte, il lavoro lo continuano a fare sempre e comunque. Ah, a tal proposito vorremmo anche ricordare a chi ha fatto insinuazioni sulla nostra manifestazione in questi giorni di delirio pre-elettorale che le nostre idee non sono MAI state in vendita...

Babamassime

A noi non ci basta dirla, noi la pensiamo.

La povertà non è chi è povero, ma chi la cerca.

Quando uno è semplice è visibile.

La visibilità è l’essenza.

Alla fine dei conti, anzi alla rete dei conti, in effetti ti rendi conto di quello che è!

Pensierini elettorali

La settimana scorsa al mio paese si è fatta una cosa che si chiamano elezioni.
Le elezioni è una di quelle cose che fanno i grandi per fare i capi che poi li comandano.
Le elezioni che hanno fatto al mio paese servivano per fare i capi solo del paese e non per fare il capo della nazione, quelle che poi sono vent’anni che vince sempre uno nano e pelato e la gente che perde poi fa le rivoluzioni virtuali e si crede che così riesce a vincere la volta dopo ma poi riperde sempre.
A queste elezioni del mio paese ci stavano tre signori, uno più grande che non lavora più, uno che lavora coi cantieri e uno che fa l’avvocato. Alla fine ha vinto quello che non lavora più e mo però mi sa che gli tocca lavorare ancora e pure tanto perché il mio paese sta messo male ma proprio male che tutti dicono: cavolo quanto sta messo male quel paese.
Gli altri due signori hanno perso, però a me mi ha detto mio zio che veramente ci stanno pure tanti altri che hanno perso pure se non partecipavano.
Perché mio zio dice che ci stava tanta gente che pure se non partecipava voleva far perdere quello che poi ha vinto e facevano le cose di nascosto, andavano alla casa della gente a dire che non lo dovevano fare vincere e mandavano pure le lettere anonime proprio come fanno i mafiosi.
Alla fine però quello lì ha vinto lo stesso e mo è diventato il nuovo capo, quelli che hanno perso fanno gli oppositori del capo e quelli che non partecipavano ma hanno perso lo stesso non l’ho ancora capito quello che fanno ma mi sa che al massimo possono fare i capi solo dentro ai bar e basta.
Comunque quando ci stanno le elezioni al mio paese sembra tutta una grande festa che c’è anche quello che vende la porchetta e mancano solo le giostre per i bambini. Quei giorni e pure i giorni prima tutti ti salutano, ti pagano le caramelle e le lecca lecca e se sei grande pure le spinette.
Poi però succede che le elezioni finiscono e allora tutti si mettono a ricontare i voti per vedere chi te li ha dati e chi no e allora a quel momento cominciano tutti a regalare meno lecca lecca e qualcuno che sta più incazzato dice pure cose brutte su chi non lo ha votato, le famiglie litigano e gli amici non escono più insieme. Che per me queste so cose brutte ma è proprio così.
Insomma al paese mio prima e dopo le elezioni ci sta sempre qualcuno che parla male di qualcun altro perché noi siamo fatti un po’ così che non ci vogliamo bene mai, però io spero che quando sono diventato grande ci vogliamo un po’ più bene così è meglio per tutti e il paese diventa più bello.
Io comunque sono piccolo e forse ste cose le capisco poco, però un amico filosofo di mio zio che si chiama Babalotto gli ha detto una cosa l’altra sera che mo ve la scrivo così forse si capisce meglio: “Alla fine dei conti, anzi alla rete dei conti, in effetti ti rendi conto di quello che è!”. E infatti secondo me mo dobbiamo vedere come va a finire con questo nuovo capo, però mi sa che prima, a noi bambini, i grandi ci devono insegnare qualcosa di meglio che qua veramente sti giorni mi sembravano tutti pazzi! Boh! Speriamo Bene!

L'asfalto drenante dell'autostrada del sole.

L’asfalto drenante dell’autostrada del sole non è lo stesso che toccano le ruote del 12 notturno; quello che i proprietari del ristorante sotto casa cercano di prendere al volo chiudendo in fretta il locale che poi chissà quando passa il prossimo.
Sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole puoi permetterti di stare sopra ai 100 pure se di acqua ne cade così tanta che Dio o chi per lui non la mandava da un po’ e pure se c’hai quella ruota da gonfiare di nuovo al primo benzinaio aperto.
E allora ci puoi bruciare chilometri velocemente sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole, e manco accorgertene che la bottiglia del bianchetto che il tuo passeggero sta beatamente consumando da solo è quasi finita.
Una volta che hai lasciato la città eterna ci attraversi la campagna romana con l’autostrada del sole. La A1, l’autostrada regina, quella grande opera pubblica capace di accorciare le distanze già prima di facebook; quella stessa autostrada su cui, se prosegui fino in Toscana, ci puoi trovare un esempio di come procurarsi “gloria eterna” nel proprio feudo elettorale in pieno stile scudocrociato. Quella “curva Fanfani” che, si narra, sia una deviazione rispetto all’originale progetto, disegnata sulla carta proprio da Amintore per far arrivare un casello ad Arezzo, la sua provincia d’origine.
E poco importa se Perugia non abbia avuto un suo rappresentante capace di simil prodezze all’epoca, fatto sta che ora per arrivare da quelle parti si deve percorrere un’imbarazzante E45, che l’asfalto drenante dell’autostrada del sole, diciamocelo, se lo sogna.
Perugia è la meta designata da raggiungere per ascoltare il Maestro, quel tic impazzito della canzone d’autore che risponde al nome di Giampaolo Bruno Piccinini. Cantautore atipico che è solito esibirsi in bettole e cantine di seconda categoria, il Piccinini questa volta è stato chiamato a intrattenere un pubblico nuovo e attento che riesce ben presto ad apprezzare le sue dita incrociate sul bianco e nero della tastiera e la sua voce amara.
Perugia diventa allora un ideale punto d’incontro nemmeno troppo difficile da raggiungere. C’è gente amica che si è mossa un po’ dappertutto e pare che il nostro, dopo la A1 e dopo facebook, sia stato capace di ridurre ancora di più le distanze.
A fare da collante alle diverse provenienze una collaudata aggregazione di orsi marsicani (una sorta di fan club ma più fun che fan) pronti a darsi battaglia sui banconi della città e all’interno della Grotta Paolina, dove è in scena la fiera, con annessa degustazione, delle migliori grappe italiane.
Per arrivare al locale, piccolo ma accogliente, c’è anche il tempo di assaporare il freddo pungente della città passeggiando tra vicoli stretti e sotto porte antiche che sembra di stare all’Aquila quando era ancora viva. Ricordi e nostalgia nella gioia scanzonata di una chitarra scordata.
Sul palco, solo come nelle rare esibizioni del Piccinini può succedere, in poco più di un’ora passa di tutto: favole e terremoti che si rincorrono insieme a una vela su cui soffiare, amanti e tanghi suonati dalla gelosia. E superciuk, e ministribrunetta a cui dedicare Lunghezza campo nomadi. E uomini in cenere e taverne di Zaccaria. Garcia Lorca e “rapsodie portegne”. Corpi di donne, salsedine e chimere. Verbali di pignoramento e bicchieri di whisky smezzati con sorsi d’acqua. “Turbini di rondini in cielo e in fuga dal gelo” e “Cera delle ali, precipizi di umori e addii”.
Dentro al locale non si fuma, e allora è gioco facile inventarsi una pausa sigaretta per camuffare un bis che arriverà solo mezz’ora dopo, quando tornano all’interno i fun e il gioco etilico prende il sopravvento su quello delle parole; degna conclusione di uno spettacolo che è insieme musica e amore, notti in bianco e vestiti buttati sulla poltrona, vino nel tetrapak e tasche bucate.
Per riprendere a bruciare chilometri sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole, però, c’è ancora tempo. Una notte intera. Da riempirsi gli occhi e la memoria di facce che ridono, di accordi strappati, di bocche che sboccano e di intermezzi. Di gocce di neve che cadono da cieli neri, di bucce di mandarino nascoste sotto i sedili e di fazzoletti usati come block notes alla faccia dell’iPhone.
E c’è tempo anche per “maledire i ritmi della società moderna”, per scordarsi di aprire il sacco a pelo e per scovare una scogliera disegnata a matita dentro la grotta tra un po’ di filosofia e l’ultimo bicchiere di grappa… quella che rimane sulla bocca dello stomaco e che non ne vuol sapere di andare giù.

g79

L'elemento ostile

L’elemento ostile era annidato nelle viscere dell’ospite. La sua tecnica, spesso subdola, creava false illusioni nel portatore che più volte aveva tentato di debellarlo senza successo. Era una lotta impari, fatta di sacrificio, impegno e rinunce, una vera e propria guerra, le cui gesta sarebbero state narrate nei secoli a venire. Tutto cominciò nei periodi dell’adolescenza, quando ancora giovane e atletico l’ospite sgambettava con gli amici in montagna, tra casette sugli alberi e partite di calcio. Erano quelli tempi magici, fatti di sobrie sbronze colme d’ingenuità e divertimento, erano i tempi della spensieratezza, della leggerezza, i tempi dell’illusione di una vita sospesa, una vita che presto sarebbe cambiata.
L’elemento ostile nel frattempo viaggiava attraverso altri ospiti, fiero e tronfio della sua grandezza guardava con occhio “goloso” l’ingenuità della giovinezza, covando in seno una segreta gioia per quando trionfante avrebbe preso possesso di quei freschi e longilinei corpi spensierati.
Il primo incontro avvenne in un giorno di festa, quando i giovincelli erano pronti alla santificazione della Cresima. L’ospite era nascosto ma vigile e quando i genitori abbassarono la guardia, riuscì per la prima volta a insediarsi nelle viscere dei novizi ecumenizzati.
Fu da allora, da quell’incontro fortuito, che l’ospite iniziò a frequentare con sempre maggior frequenza i meandri elastici del ventre giovanile, se ne nutrì giorno dopo giorno, volta dopo volta, sbronza dopo sbronza e già a 18 anni era diventato un compagno di viaggio insostituibile, anche se ancora prontamente nascosto. L’età dell’adolescenza volgeva ormai al termine e il giovane uomo iniziava ad accorgersi dei sintomi portati dall’elemento ostile, sintomi che a vent’anni non destavano preoccupazioni; vent’anni erano un periodo della vita troppo bello e ingenuo per pensare che il percorso di ognuno di noi va tracciato attimo dopo attimo e che tutto quello che abbiamo nel presente è frutto del lavoro nel passato.
I giorni intanto si susseguivano, l’adolescente diventato uomo era incalzato dal ritmo del lavoro e dalle passatelle, l’elemento ostile cominciava ad avere un peso non indifferente, ma anche se l’ospite cercava di combattere quella scomoda presenza, la realtà quotidiana era troppo distante dalla salvezza e l’elemento ostile prosperava chiedendo quasi ad alta voce sempre nuovi spazi, sempre nuova vita.
La preoccupazione divenne palpabile una volta superati i cinque lustri… l’ospite ormai aveva preso piena coscienza dell’elemento ostile, sapeva che la battaglia si sarebbe protratta fino al resto dei suoi giorni, sarebbe stata una battaglia cruenta, fatta di piccole soddisfazioni e grandi delusioni, una battaglia epica tra bene e male dall’esito indeterminato.
Nell’attesa dell’Armageddon, l’elemento ostile sorride e cresce fiero, guarda al mondo con fiducia, con la certezza che presto nuovi giovani lo ospiteranno… l’ospite nel frattempo si rilassa per un po’, guarda l’elemento ostile con una smorfia forse simile a un sorriso e dice “panza mia, panza mia, prima dell’estate questa volta ti manderò via!”.
Fajoint

Kaput incontra Pirupa. Il 2010 è l'anno degli italiani?

Ho conosciuto Pirupa al surround festival di Teramo nel 2007: in quell’unica, sfortunata e male organizzata edizione di un festival dal respiro internazionale, con in cartellone gente come Trentemoller, Apparat e Lemon8.
Le premesse per due serate memorabili c’erano tutte, ma piccoli inconvenienti tecnici, l’ingenuità degli organizzatori e un affluenza di pubblico davvero esigua compromisero la buona riuscita dell’evento. E a dirla tutta la gente la seconda sera preferì il caro vecchio panzuto zio Ralf che suonava in una discoteca lì vicino al minuto Apparat e la sua elettronica minimale.

Chiaro che Teramo non è Berlino, ma non fu un flop fin troppo clamoroso?
Si non andò molto bene, causa l’ignoranza che c’è in questa città ma anche per colpa di un’organizzazione molto scarna e ingenua! Comunque a breve ci riproveremo con un nuovo festival, sempre a Teramo e siamo più fiduciosi perché questa volta è organizzato da un gruppo di gente valida del settore e che ha voglia di fare!

A proposito di Ralf in un recente video su youtube, probabilmente in una delle sue famose serate targate “bellaciao”, suona la tua “Get funky” e dice alla gente in pista “ragazzi, questo è l’anno degli italiani!”. Tu eri lì, cosa hai provato in quel momento? Credi che sia davvero così?
Ero lì… mi ha chiamato lui inaspettatamente prima di dire quelle parole che hanno fatto il giro d’Italia e che hanno consacrato “Get funky” come vera hit... è stata un’emozione fortissima, una delle più grandi della mia carriera e penso che sì, questo è proprio il nostro anno, perché lo dicono anche i numeri e siamo ricercati dalle migliori labels al mondo!
Era ora che l’Italia tornasse a dominare nel mondo delle produzioni, spero presto anche nel campo del djing!

Come ti sei avvicinato alla musica house?
Mi sono avvicinato giocando… poi pian piano da gioco è diventato lavoro!
Diciamo che mio fratello mi ha trasmesso la passione, poi qui in famiglia tutti amiamo la musica,
mio padre è un musicista! Ora per me l’house music è tutto! È la mia vita… senza non saprei cosa fare!

Come ti relazioni con le nuove tecnologie... credi che il vinile sia veramente morto?
Sto usando traktor scratch pro con vinili proprio perché sento la mancanza dell’uso del giradischi! Ho iniziato a suonare con i vinili per poi passare ai cd… ma sono stato sempre aperto alle nuove tecnologie!

Come è nata la collaborazione con Nick Curly e La cecille?
Per caso, un mio amico suonava “Get funky”, lui era lì, gli è piaciuta e l’ha voluta subito! Mi ha scritto dopo qualche giorno chiedendomi di stamparla per la sua etichetta! Una gioia immensa!

Suoni spesso all’estero, che differenze ci sono tra i club italiani e quelli esteri?
Dipende dalle città non dai paesi! Te lo dico perché ultimamente sto girando molto… In Italia siamo un po’ indietro, per non parlare degli USA che sono messi peggio di noi!

Be’ questa proprio non me l’aspettavo... Per finire (già so cosa risponderai)... ma a te non fa un po’ incazzare questa nuova ondata electro così osannata dalla stampa (Crookers, Bloody Beetroots etc)... in fondo non mi sembra sta gran cosa, e poi ste pose nichiliste non sono un po’ scontate?
A me fanno ridere… che musica è? Solo rumore!

Pirupa, c’è qui il tuo fan numero uno: Vituzzo il porno attore truzzo...
Ciao Vituzzo, sei un grande custodisco gelosamente tutti i tuoi film sotto il letto...
InTheNino

martedì, marzo 30, 2010

È finita così.

Risultati definitivi delle amministrative 2010 per il comune di Capistrello.

Antonino Lusi - Un Paese in comune
1634 - 44,34%

Franco Ciciotti - Partecipazione e sviluppo
1276 - 34,62%

Moreno Di Cintio - Crescere insieme
775 - 21,03%

Elio
30 kg di porchetta di Ariccia venduta fuori dal seggio elettorale

Dati: ministero dell'interno 3.


Risultati dei candidati consiglieri:
ANTONINO LUSI 1634
Carmine Stati (medico) 197
Arnaldo Mariani 127
Alessandro Lusi 119
Nicolino Di Felice 106
Francesco Piacente 95
Alessandro Croce 93
Alfio Di Battista 93
Carmine Stati (geometra)91
Nicola Grasso 89
Maria Vischetti 80
Antonello Palleschi 74
Edoardo Picozzi 71
Roberta Tollis 71
Stefania Giordani 65
Simonetta Vischetti 43
Sergio Di Marco 38

FRANCESCO CICIOTTI 1276
Angelo Stati 128
Stelvio Pizzi Scatena 120
Gaudenzio Lusi 110
Orazio De Meis 94
Ulderico Persia 92
Domenico Palleschi 88
Sandro Palleschi 82
Adolfo Doschi 70
Finezio Rozzi 66
Marco Fantozzi 64
Giuseppe Esposito 55
Sabatino Salvati 46
Tiziano Giordani 43
Domenico Di Domenico 42
Grazioso Vaiani 34
Monia Lustri 21

MORENO DI CINTIO 773
Aldo Pizzi 108
Antonio Di Cintio 98
Francesco Mariani 74
Quirino Orlandi 62
Carmine Croce 61
Francesco Eligi 48
Giuseppe Di Domenico 46
Antonio Nardi 41
Ida Carpineta 33
Donatella Pizzi 30
Alfio Capodacqua 29
Bartolomeo Fantozzi 19
Elio Andreozzi 16
Fernando Bisegna 15
Fabrizio Lusi 10
Marco Venditti 8

venerdì, febbraio 26, 2010

Vota Antonio Vota Antonio!!!


Finalmente, dopo tanta attesa il giorno è arrivato. Candidati sindaci e consiglieri sono ora di pubblico dominio e da oggi in poi saprete a chi andarvi a raccomandare, a chi sfuggire nei bar per evitare di essere costretti a prendere chissà quanti caffè offerti al giorno manco fosse Natale, e quale parente maledire perché voi volevate votare un’altra lista e invece il lui o la lei in questione ha deciso di schierarsi con gli altri.

Bene: Se siete stanchi di tutto questo e volete un’alternativa concreta, da oggi avete una possibilità in più… E cioè quella di scegliere il Partito Kaputtista!

Perché, in attesa di illustrarvi il programma (che tanto pure qualcun altro sembra più interessato a comporre le liste prima di pensare ai contenuti) noi possiamo già darvi qualche certezza.

Insomma, SAPEVATELO bene che NOI, per quanto ci fa schifo, a sto Paese CI vogliamo bene lo stesso e non ce ne ricordiamo solo un mese prima delle elezioni; che NOI non offriamo caffè ma ci facciamo offrire spinette; che NOI non promettiamo posti di lavoro ma manco li cerchiamo; e che soprattutto NOI, se non ci votate, continueremo comunque a darvi da bere alla passatella!!!

Hasta la Baldoria Siempre!!!


martedì, gennaio 05, 2010

Editoriale

Quella che leggete qui in basso è la canzone scritta dal “Maestro” Piccinini in occasione della prima edizione di Arziwinter. Oltre ad essere già diventato un cult per noi, il pezzo farà da colonna sonora in “Che ete ngiro co sto friddo”, lo spettacolo itinerante in programma il 27 dicembre. Vi consigliamo di portare con voi questa copia, potrebbe capitarvi di incrociare per strada la processione pagana capitanata dal vin brulé e allora è il caso di non farvi trovare impreparati...
Capitolo Secondo: il Natale di Kaput. Come da tradizione anche noi facciamo il nostro regalo alla comunità. Bene, se l’anno scorso gli abbracci dispensati dalla redazione erano serviti più che altro a trasmetterci germi a vicenda quest’anno torniamo ad essere un po’ materialisti anche noi regalandovi la preziosissima selezione musicale di InTheNino contenuta nel secondo volume de “Jo Cd Farzo”... Procuratevelo... È un pezzo da collezione targato Kaput! Buone sbornie a tutti!

Soffia alla vela

“Tutti al lavoro!”
...e passò la febbre dell'oro,
passò la città intera
davanti ai bimbi nudi nella fiera
Soffia la vela
vieni a vedere l'America!
Porta la luna amore mio:
io non ci vedo più

Vieni allo sposo,
vieni a vedere il tesoro
che qui il tesoro trovò me
con queste braccia a pezzi nella pietra
Soffia alla vela
vieni a vedere l'America!
Porta due mani amore mio:
io non le muovo più

(Se Capistrello
si trasformasse in uccello
risalirebbe al cielo
da sotto l'olio a galla lungo l'Hudson!...)
Soffia alla vela
vieni a vedere L'America!
Porta il corredo amore mio:
io non ritorno più

Perché a risorgere
mi servirà questa polvere,
il tuono della miniera,
il lume a carburo acché Cristo mi veda
Soffia alla vela
vieni a vedere l'America!
Porta il vestito amore mio:
non tornerò mai più

Giampaolo Bruno Piccinini

L'ultima collassata

Una ragazza di circa trent’anni sta rientrando a casa dopo una giornata di lavoro.
Risalendo verso casa si ferma in pasticceria, dopo un intero giorno passato ad evitare qualsiasi tipo di cibo, ha deciso di concedersi un “premio”, ma solo ora che nessuno la guarda, che nessuno guarda incessantemente la sue abitudini alimentari.
-Salve-
-Salve, desidera?-
-Vorrei dieci pasticcini, misti, faccia lei-.
-Solo dieci?- (lo chiede con aria infastidita)
-Sì, grazie- (risponde con aria ancora più infastidita)
“Ma tu guarda… una non può neanche prendere SOLO dieci pasticcini, te li sto pagando! Perché diavolo deve fare quella faccia così stizzita e sorpresa?!”
-Basta così?- continua a chiedere la gentilissima commessa sempre con aria stizzita…
-Uhmm… sì… Anzi no, mi dia anche: due biscotti al cioccolato, due al latte, e… due al vino… e, sì anche quelli lì in fondo, quelli con le nocciole.-
La commessa, sempre più irritata prende una bustina ed esegue l’ordine, sbuffando.
“è inutile che sbuffi, se voglio posso anche decidere di prenderne uno diverso dall’altro, e poi farteli rimettere a posto… il cliente ha sempre ragione, STREGA!”
-Basta così?-
La voce è sempre più irritata e pensa:”ma tu guarda ‘sta spostata!, mi sta facendo perdere un sacco di tempo per dei dolcetti!”
-Sì, grazie. Scusi, forse le sto facendo perdere tempo, ma sembra tutto così buono, c’è l’imbarazzo della scelta!-
-Oh no, non si preoccupi, la capisco!-
“Te ne sei accorta brutta cicciona, MUORI!”
-Bene sono sei e cinquanta-.
-Ecco a lei, arrivederci-.
-Grazie, arrivederci- “spero tu muoia mangiandoli”.
“Ma tu guarda se una deve sentirsi imbarazzata nel comprare i dolci, perché una idiota di commessa deve fissarti e metterti l’ansia perché le stai facendo una lista troppo variegata…”
La ragazza sta rientrando in casa, naturalmente è sola, apre la porta in tutta fretta, getta subito la borsa sul tavolo, neanche si toglie la giacca, che apre il sacchetto dei pasticcini e vi si fionda letteralmente.
“Comincerò da quelli al cioccolato… Uhmm, sono deliziosi”
Intanto li sta divorando uno dopo l’altro senza nemmeno dare tempo alle pupille gustative di assaporarne la bontà…
“Sono buonissimi, ho fatto un sacrificio immenso oggi per non mangiare i dolci che ha portato Laura, ma non potevo dare loro un motivo in più per pensare quanto sia grassa, mi dicono che sono magrissima, ipocrite! Non mi interessa nulla di ingrassare, voglio scoppiare, tanto dopo li vomiterò tutti”.
Li mangia velocemente, si ingozza. La mandibola per così tanto lavoro comincia a farle male, ma lei indolente continua a forzarla riempiendosi la bocca di quelle prelibatezze.
“Ora passiamo ai biscotti, i miei adorati biscotti!… O sarebbe meglio prima svuotare lo stomaco?
Forse se mangio tutto assieme si crea una poltiglia talmente grande da non poter risalire il tubo digerente… Ma se vomito prima i pasticcini, dopo avrò abbastanza forza per vomitare anche i biscotti…”
Eh sì, vomitare richiede uno sforzo non indifferente, ci riuscirà?!
“… ma sì, mangio anche i biscotti, svuoterò tutto insieme”.
E via ad ingozzarsi con i biscotti: un morso a quello al cioccolato, uno a quello al latte, uno al vino, e poi di nuovo cioccolato, stavolta però li mangia tutti e due, li finisce per poi dedicarsi completaente ai superstiti al latte e al vino…
“Oh, quasi dimenticavo quelli alle nocciole, pensavate di sfuggire alle mie fameliche fauci, eh?!”
Quelli alle nocciole si erano nascosti in fondo al sacchetto sperando di farla franca, e invece…
Come in raptus omicida, la sua vista è appannata, forse anche perché non riesce a tener bene gli occhi aperti pressati dalle gote strapiene. La sua voglia di mangiare è abominevole, è un’assassina di dolcetti.
Dopo questa violenta foga divoratrice, si guarda allo specchio e comincia a piangere, forse è pentita dello sterminio che ha appena commesso.
“Ma che diavolo ho fatto? mio dio sarò ingrassata di venti chili con tutto quello che ho mangiato, che schifo! Calma, ci sono sempre le due care vecchie dita…”
Corre in bagno, si china sul gabinetto e comincia il suo vomitevole, per l’appunto, rito:
alza la tavoletta; appoggia la mano sinistra sul bordo del water, afferrandolo molto forte come se volesse stritolare la causa del suo malessere; la mano destra, invece, la infila nella bocca spalancata, così tanto spalancata da far vedere quasi lo stomaco; indice e medio si stirano fino ad entrare nel tubo digerente, quel tubo che ha tanto violentato… e poi è vomito, vomito, deve vedere chiaramente se tutto quello che si è strafogata un momento prima stia risalendo, deve saper riconoscere i pasticcini al cioccolato, i biscotti, le nocciole, deve riconoscere tutti i sapori per essere certa che davvero il suo stomaco si stia depurando dalle delizie, ormai divenute schifezze, trangugiate un momento prima.
“Ecco sento il cacao, il vino, le nocciole, evviva sta risalendo tutto! voglio vomitare anche lo stomaco se necessario…”
Le fitte al torace si fanno sempre più forti…
“Voglio farmi male, me lo merito, faccio schifo, merito di star male per tutti quei dolci che ho sterminato!”
Comincia a mancarle il fiato, tossisce con la mano ancora in bocca, sta per strozzarsi? No, non è per asfissia che rischia di morire, bensì il cuore comincia a batterle forte, fortissimo, fino a cedere.
Cade a terra con la bava alla bocca e la mano destra un po’ più in là mentre la sinistra sta ancora ancorata al bordo del water, con una morsa sempre più debole come se non volesse separarsi da quella parete porcellanata alla quale più di una volta si era aggrappata…
Dentro il gabinetto i cadaveri di quelle golosità che tanto amava e odiava, ma questa volta non potrà tirare lo sciacquone per seppellire le prove della sua malattia. Una malattia incurabile la quale fine gli era stata preannunciata dai dottori qualche settimana prima:
-Signorina deve curarsi,non può continuare a rigettare, prima o poi il cuore cederà allo sforzo che fa-.
“stronzate, casomai potrà venirmi un riflusso gastrico”, aveva pensato.
Ed eccola un po’ di tempo dopo rannicchiata col suo corpo smagrito ai piedi di un cesso, non può più nascondere la sua ossessione.
Maggy

La posta di Kaput

Miei carissimi kaputtini, grazie per avermi inviato il formato elettronico del favoloso Kaput, anche se dopo ben due tentativi, di cui il primo alquanto maldestro. In verità, in verità vi dico che desideravo tanto averne anche una copia cartacea, che l'atra sera come potrete rammentare dato che foste testimoni oculari, dovetti allottarmi in quel di Severino con un giovine locale, anch'egli bramoso dell'agognato pieghevole. I fatti: all'apparire delle vostre signorie eccellentissime recanti in mano alcune copie del suddetto bramato pieghevole, da parte degli astanti per accaparrarsene un numero si scatenò l'inferno. Dapprima il commendator Cicì in persona cominciò coll'allottarsi, et me medesimo in seguito per tentar di por pace fui coinvolto nell'esecrabile misfatto. Me sciocco! Chiedo umilmente scusa per l'accaduto a tulemon! E faccio pubblica ammenda. (In verità, in verità vi dico che la querelle tra il commenda et il giovine andava avanti da tempo in qualità di una colorita messa alla berlina da parte del Cicì a danno del giovine, a proposito delle sciagurate prestazioni calcistiche della equipe della quale il giovine era tifoso, sciagure che venivano trasmesse proprio in quel mentre da un apparato digitale così detto magno schermo.) Ma tutto ciò potrebbe essere fuorviante. La realtà è una sola et limpida: il suddetto pieghevole Kaput, esso appare ai suoi abituali fruitori così desiderabile, così stiloso, così indispensabile che non se ne può fare a meno. Esso crea talmente forte dipendenza che ogni qualvolta appare sulla scena un nuovo numero, si creano fortissime tensioni sociali, rivolgimenti e cataclismi naturali. Per tutto questo vi scongiuro di trovare al più presto nuovi più miti et efficaci meccanismi di diffusione del suddetto, in quanto non vorrei ritrovarmi in futuro coinvolto di nuovo in miserabili et esecrabili allottamenti selvaggi.
Vostro affetionatissimo Lupo de Lupis, il lupo tanto buonino-
P.S.E se fosse la prima di una rubrica "lettere dei selvatici lettori"?