domenica, novembre 01, 2009

L’Italia va a mignotte, poi ogni tanto anche a Trans. Noi poveracci intanto cerchiamo costantemente di inventarci qualcosa per non sopperire e allora a Natale troverete in distribuzione in tutte le peggiori bettole di Capistrello il primo dizionario Capistrellano/Italiano della storia. Un libro indispensabile per conoscere una innumerevole serie di termini e proverbi mai ascoltati prima! Da “Abballo” a “Zuzzo” centinaia di parole “riscoperte” per chi non vuole buttare nel dimenticatoio il nostro dialetto. Un libro utile alle nuove generazioni per capire finalmente che “Ombrello” in capistrellano si dice “Ombrella” e non “Ombreglio”. Da non perdere per chi non ha mai giocato a “Naso” e per chi non sa di aver mai mangiato i “Sasaregli” e i “Rattacujo”. Se anche tu vuoi darci una mano scrivici ai nostri indirizzi e stai sicuro, le tue mail non saranno riposte dentro “ajo Tiraturo”.

Eolico. Utopia o vera opportunità?

Capistrello, Anno Domini 2009. Un paese allo sbando, senza acqua, senza soldi, senza guida, senza risorse e che apparentemente non riesce ad uscire da una crisi di gestione, economica e finanziaria che ormai perdura da anni. In queste condizioni “apocalittiche” però, c’è chi in questi anni ha continuato comunque a pensare ad un’alternativa, ad un nuovo modo di intendere la gestione del territorio cercando di sfruttare le risorse che lo stesso territorio ci offre per consentirne il rilancio. Parliamo più precisamente dello sfruttamento delle energie rinnovabili, strada virtuosa intrapresa già da molti altri piccoli comuni in tutta Italia e che hanno contribuito alla riduzione delle emissioni di CO2 e nel contempo hanno aiutato le esigue casse comunali e i cittadini tutti. A Capistrello c’è chi propone di percorrere questa strada già da diversi anni; un movimento nato all’interno dell’allora circolo E. Berlinguer di Rifondazione Comunista e proseguito poi autonomamente, coinvolgendo al suo interno diverse persone sensibili al tema che continuano a lavorare al progetto. Partendo dal presupposto che il nostro territorio sia agevolato dalla presenza di forti correnti ventose, questo movimento si è mosso principalmente in direzione della promozione dell’energia eolica proponendo già nel 2006 una manifestazione in cui vennero invitati rappresentanti di strutture e comuni già coinvolti nel settore.
Nella convinzione di poter dare una svolta per la comunità cominciarono da allora a cercare di coinvolgere l’amministrazione dell’epoca, chiamata in causa, insieme al comune di Luco dei Marsi e a società attive nel settore del rinnovabile, per studiare la fattibilità di un progetto di installazione di pale eoliche al confine tra i due comuni, nella zona che tutti conosciamo come la “Trenità di Luco”. La storia recente del comune di Capistrello è nota a tutti, con un’amministrazione ormai allo sbando che fu capace di siglare accordi per studi di fattibilità solo due anni dopo, ma non riuscendo mai ad arrivare a risvolti concreti. Ad oggi dunque la storia ci racconta di anemometri installati al confine da una società incaricata dal comune di Luco dei Marsi e di un altro installato nei piani palentini grazie all’iniziativa spontanea di una società privata, con evidenti differenze nella possibilità dei rispettivi comuni di avere benefici dalle eventuali installazioni. È proprio qui che si arriva al punto focale del tema: Cosa e come le rinnovabili possono aiutare un piccolo comune come il nostro? “Al di là dell’aspetto ambientale, del quale bisogna comunque tener conto, iniziative del genere non sarebbero prese in considerazione se non garantissero anche benefici economici per tutta la popolazione” ci dicono dal movimento. “Verificata la presenza di almeno duemila ore annue di vento un impianto eolico può garantire entrate che garantiscono il rientro dell’investimento entro sei/sette anni avendo comunque una durata di 20 anni, con evidenti possibilità di profitto”. A questo punto rimangono forse alcune domande irrisolte legate al rapporto che il comune instaurerebbe con le società private, spesso orientate a collettivizzare le perdite (estetico-ambientali) e a privatizzare gli utili ma secondo i promotori dell’iniziativa “l’obiettivo, al contrario, dovrebbe essere quello di rendere il più possibile pubblici i benefici battendosi per trovare accordi vantaggiosi o soluzioni alternative”.
Nell’attuale condizione in cui si trova il nostro comune sarebbe un delitto non provarci o quantomeno cercare di sollevare la discussione. Noi lo facciamo sulle nostre pagine, auspicandoci un interessamento della comunità intera e una discussione che vada al di là delle solite e sterili polemiche (e politiche) da bar in cui siamo tutti un po’ esperti...
Invitiamo quindi chiunque sia interessato ad approfondire l’argomento visitando il blog fuoricontesto.blogspot.com (nella sezione “Il paese del vento”) dove è possibile trovare tutte le informazioni a riguardo e richiedere tutte le documentazioni “del caso Capistrello”.

IL SUO ULTIMO GEMITO (PARAnOIE Di UN ASSASSINO)

Eccola, la vedo. Com’è bella, sembra dipinta, irreale.
I suoi occhi chiusi, le sue labbra socchiuse, il suo dolce respiro.
E guarda i suoi capelli, i suoi dorati capelli, le scendono sul viso a nascondere le labbra, la sua bellezza.
Com’è piacevole accarezzarla con la gelida lama, con la mano rovinerei tutta la delicatezza del tatto. Oh sì,come mi piace!
Mi piace ridisegnare il suo profilo col metallo, ormai riscaldato dal calore della sua pelle.
ORA! ORA! Colpiscila ora, ora che aperto quelle labbra così succose, ora che il suo respiro è più profondo… ORA!
No, non posso ora.
Ho ancora una voglia trepidante di sentirla calda, morbida, VIVA.
La sua carne è così tenera, talmente tenera da chiederlo essa stessa di essere assaporata, penetrata.
Dio come ti tenta! È lei che vuole che tu la colpisca, ma non violentemente come un volgarissimo assassino qualunque, no, non le renderebbe tutta la sua tenerezza, e non ti darebbe nessun piacere.
No, lei vuole essere affondata lentamente, con delicatezza e con la stessa delicatezza vuole che la lama penetri a fondo, lacerando i tessuti pian piano e arrivando fino in fondo al cuore… Oh sì,come lo vuole, lo sento, freme per la mia lama.
ORA! ORA!
Ora prima che i suoi occhi si aprano, prima che il suo respiro diventi più affannoso. A quel punto la sua pelle non potrebbe assaporare la lama che tanto brama, fino in fondo. No, a quel punto dovrebbe accontentarsi di una banalissima pugnalata.
Ed io non voglio. Non voglio che la sua seta venga sminuita in un modo così barbaro. Non voglio che i suoi occhi mi vedano.
E allora COLPISCI! COLPISCI, PER DIO! Che diavolo aspetti!
MALEDIZIONE, è così dannatamente indifesa!
Eppure è questo piccolo dettaglio che ti fa venir voglia di colpirla, no?
Non è forse questa sua immagine immacolata?
O forse è il suo saper essere immacolata anche con un coltello piantato, o meglio, affondato nel cuore?
Ma come posso rubarle la vita? COME?!
Eppure voglio, dannazione, VOGLIO! La sua purezza si conserverebbe anche con questa lama nel petto. E io riuscirei a cogliere dal suo ultimo gemito la vita!
…Ma che diavolo dico? Sono un assassino e la considerazione che ho verso questa creatura non alleggerirà di certo la mia coscienza. No, la renderà ancora più turpe e contorta
Ma ne sei davvero sicuro? Riuscirai a sopportare un’altra vita troncata?
E che sarà mai, una in più, una in meno!
Riuscirai a sopportare un’altra macchia sulla tua,f in troppo infangata, anima?
Uhm… mi sembra di aver visto la pubblicità di uno smacchiatore potentissimo, funzionerà!
Ma soprattutto, riuscirai a sopportare l’ennesima gettata di terra in quel fosso che è il tuo cuore?
Ma perché, quello è il cuore? Ma dai! Sentivo un fastidioso “tum-tum”in profondità, molto in profondità, ma non pensavo fosse il cuore, che storia! Ma sì sono consapevolissimo di ciò che faccio, ed è proprio questa consapevolezza che mi fa agire, le conseguenze non esistono: ogni atto è fine a se stesso, si esaurisce nell’atto stesso, è causa ed effetto, è…
Ma sentiti! Ora cerchi anche di giustificarti “filosoficamente”, e tutto per alleggerire quel pezzo di carne che ti ritrovi dietro le costole! Sei patetico. Penosamente patetico.
…ma guardala, è così bella! Da mozzarle il fiato! Da PRENDERNE l’ultimo fiato!

…Avvicinai le mie labbra alle sue, così da sentirne quell’ultimo fiato di vita e strappargielo.
Le fissai gli occhi semicoperti dai capelli, si aprirono al sentire la lama affondare nel suo petto. Le pupille si dilatarono, si restrinsero in un attimo. Fu proprio in quel momento che il suo ultimo gemito mi pervase, mi entrò dentro.
Pensai che ebbe fatto molto più male del coltello che lentamente affondavo nel suo cuore ancora pulsante.

Ora ti senti meglio,vero? Si vede dal tuo volto soddisfatto.
Sì, devo dire che ne è valsa la pena ucciderla per trovarsi in questo stato di estasi totale, il mio cervello si è spento per un attimo, come in un fantastico orgasmo… possiamo andare, le voglio solo baciare la fronte come si è soliti fare con i morti.
Maggy

ME LLAMAN DESAPARECIDO

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso, terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi gli “scomparsi”, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.
Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per descrivere una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…
g79@email.it

Everybody be somebody (Ti ricordi le feste di 18 anni?)

Ci voleva sempre un po’ prima che arrivassero tutti, così io nel frattempo mangiucchiavo le pizzette e selezionavo i dischi in valigia. I riempipista li piazzavo tutti in fondo perché era bello a un certo punto della serata spingere tutto il blocco di dischi in avanti e mostrare a quelli che mi stavano vicino le copertine di Short dick man, di Space cowboy o di Plastic dreams, cosi che loro immancabilmente sarebbero corsi in pista a dire agli altri che stavano per arrivare i pezzi forti, che non era il momento di fare a cazzotti o di collassare perché ora si sarebbe ballato roba seria...
A quei tempi portavamo chi più chi meno tutti i capelli lunghi, e quasi tutti si ficcavano i 501 tra le chiappe. Tranne io, che non è che avessi chissà quali chiappe e così preferivo mettermeli un pochino più larghi e strappati. Li riciclavo dal guardaroba di mio fratello più grande o andavo a prendermeli a 10 mile lire a via Sannio.
Era proprio bello quando ce ne andavamo tutti con il treno a Roma, ci sentivamo liberi e facevamo gli stupidi, fumacchiando le sigarette e fischiettando dietro le signorine. Per i tipi delle bancarelle di via Sannio eravamo tutti biondi, ci bloccavano e ci ficcavano a forza le felpe dicendoci “Ah Biondo ti sta proprio bene sta felpa”.
Non facevano troppa fatica a venderci la loro roba contraffatta e neanche il signore delle tre carte faceva troppa fatica a fregarci le 50 mila lire. Dei perfetti paesanotti insomma.
Riempivamo le buste di straccetti e poi ce ne andavamo in centro e lì mi staccavo dagli altri e mi ficcavo tre ore da Remix a sentire dischi e a guardare attrezzature costose e spendevo tutto quello che guadagnavo con le feste.
Poi in treno veniva fuori che mentre io stavo ficcato in negozio tutti gli altri avevano avuto da fare con un gruppetto di studentesse in gita scolastica o una roba simile...
Ma non me ne fregava granché, in realtà io stavo già pensando a come avrei piazzato i dischi nuovi.
A quei tempi tutto scorreva lento e gli ormoni mi aggredivano la faccia. Avevo l’aspetto del brutto ceffo: brufoloso e coi capelli lunghi con le doppie punte.
Il mio aspetto doveva essere così poco rassicurante che il maresciallo Nacca mi fermava per strada chiedendomi i documenti. Mi guardava brutto e mi diceva “Ma perché non ti tagli i capelli?”. Io gli rispondevo che erano di moda e proseguivo per la mia strada.
Ma Vaffanculo.
I pomeriggi li passavamo da Piero a giocare a Tetris e a bere cioccolata calda, che Piero era severo e non ci dava alcoolici. Nemmeno voleva che si pomiciasse dentro il suo locale e se te ne uscivi con una bestemmia ti prendevi pure un calcio in culo.
Bevevamo la cioccolata calda e progettavamo di fare sega a scuola.
C’era l’interrogazione d’italiano e io non avevo studiato e dovevo portare una cassetta mixata al tipo che forse mi avrebbe chiamato alla sua festa di 18 anni.
Non ero mai andato fuori a fare le feste e la cosa mi faceva un po’ paura, così dissi agli altri “Se mi chiama venite pure voi, così gli facciamo vedere che gente siamo...”.
Al tipo piacque la cassetta e suonai alla sua festa.
I miei amici erano lì con me a ubriacarsi gratis e a darmi forza.
Tremavo tutto, ma la pista rispondeva bene.
Ad un certo punto spinsi il blocco di dischi in avanti e tra i riempipista pescai a caso: Hideway di Delacy.
Lo misi sul piatto e una lunga pausa solo organo e voce ci aggredì tutti. Ce ne stemmo lì, come sospesi a mezz’aria ad aspettare che ritornasse il beat.