sabato, maggio 20, 2006

The cure: trasformazione alchemica del dolore in arte

Ascoltavo i Cure questa mattina, tra le mie faccende affaccendata, e mi è venuta voglia di raccontarvi di questa mia passione e dell’esperienza fantastica che ho vissuto durante il loro live… Robert Smith, eternamente pallido, occhi cerchiati di nero rossetto scarlatto. Folletto infantile, dandy romantico, filosofo nichilista e poeta apocalittico. Tortura le corde della sua chitarra, tra grida angosciate e urletti bambineschi…
I Cure iniziano a muovere i primi passi in Inghilterra negli anni dell’esplosione del punk e della nascita della new wave e del dark, quando nel panorama musicale erano già presenti nomi come Joy Division, Bauhaus, the stranglers. I cure sono una delle poche band di quel periodo a continuare le loro attività per piu’ di 20 anni, esplorando e mixando diversi stili musicali, alternando sonorità estremamente dark a momenti pop, in una sorta di schizofrenia continua!!! Ecco quello che ho vissuto, insieme al reporter da Los Angeles….
Live in Taormina 2005
19 agosto… inizia la traversata Capistrello – Taormina per l’unica data italiana dei Cure: 9 ore di viaggio in macchina sotto il sole cocente di agosto, mezzo stivale percorso tra estenuanti code sulla Salerno-Reggio, e chilometrica fila per l’imbarcazione sul traghetto… appena tocco terra siciliana mi viene voglia di baciarla… sono stanca e sudata, ma anche eccitata… mi perdo a guardare gli scenari siculi, la costa col mare che splende sotto il sole, le colline spoglie e aride, i paesini che mi proiettano in uno scenario anni 50… arrivo a Taormina, perla mediterranea piena di scorci memorabili, tortuose stradine, mare verde smeraldo. E non vi ho ancora detto che la mia folle, estrema passione per i cure mi ha spinta fino in Sicilia senza biglietto… lasciandomi in pasto ai bagarini siculi…(no comment) e alla possibilità di tornare a casa in paranoia totale… 20 agosto, giorno del concerto… mi butto tra la folla, alla disperata ricerca di un biglietto, e scopro che di sfigati siamo in tanti, ma disposti a tutto pur di entrare… tra le “facce da turista” inizio a scorgere anfibi neri, volti bianchi, occhi cerchiati di nero, catene, borchie, chiome cotonate, fratelli e sorelle nerovestiti… a cinque ore dal concerto, dopo essermi squagliata al sole, aver percorso tutte le strade di Taormina, e dopo tante conoscenze, compro il biglietto… è fatta!!!
Il lieto evento si consumerà nel teatro greco: decadenti rovine che sfidano il tempo… non ci può essere scenario migliore per le ipnotiche vibrazioni dei cure, per le loro decadenti canzoni che parlano di amore e morte, trasformano malinconia e disperazione in musica. Celebrano la vita che ci sfugge.
Ore 20,30: si aprono i cancelli. La mia posizione in gradinata è perfettamente frontale a quella di robert sul palco… perfetto! Il tempo passa, il teatro si riempie, estasi mista a indolenza durante l’attesa. Alle 21,30 le luci si spengono: Robert mi sorride per la prima volta dal vivo.
Subito i cure ci immettono nella loro atmosfera dark e allucinata con “open”, calda e lenta la voce di Robert. Si procede con una trascinante ”fascination street” e con “a strange day”, eseguita in una versione molto piu veloce. Segue “Alt end”, e poi una splendida esecuzione di “the blood”, che scalda il pubblico davanti a me. Il tono ridiscende con “out of this world” totalmente modificato l’arrangiamento. Con le prime note di “a night like this” c’è il delirio generale, continuando con “just like heaven”. Davanti a me c’è Robert che si agita con la sua chitarra, riesco a vedere le sue smorfie con la videocamera. Alla sua destra c’è Porl, raffinato e meticoloso, e dall’altro lato Perry, che salta come un tarantolato sul palco… appena inizia l’esecuzione di “a letter to elise” si alzano le fiamme degli accendini, e la sonorità mesta e lenta mi trascina…. Ormai siamo tutti ipnotizzati… ”lullaby” mi sconvolge, e una struggente “Figurehead” mi incatena a Robert che si muove carismatico davanti ai miei occhi… si procede con “never enough”… mai abbastanza davvero… che scatena la platea. Le chitarre vengono cambiate dopo ogni canzone. Si continua con “the baby screams” “one hundred years” “shiver and shake” e un’energica “end” che chiude la prima parte del concerto. Mi perdo nel guardare lo scenario che ho davanti, il fumo, le luci rosse, viola, bianche sul palco, la notte, le colonne dell’anfiteatro, le stelle e la luna, il mediterraneo e l’Etna in lontananza. L’atmosfera mi elettrizza.
Ben presto si ricomincia con quattro fantastiche canzoni tratte da “seventeen seconds”, il primo capitolo della triade gotica in cui i cure si immergono nel nichilismo e nell’infinita tristezza: ecco “a forest” quella che amo di piu’. L’estasi segue il suo corso. Meraviglioso. Unico. Perfetto. Ancora una volta i quattro escono dal palco, per poi tornare con una fantastica “if only tonight we could sleep”. Vanno via di nuovo, e ritornano per la terza ncore con tre canzoni che scuotono ancora una volta le corde dell’anima: “in between days” “Friday i’m in love” e la splendida “boys don’t cry”. Energia, amore. Ancora un’altra uscita tra le grida, e un perfetto ritorno con una lunghissima versione di “three immaginary boys” seguita da una cupa “faith”, poi “10:15 Saturday night” e gran finale con “killing an arab” che diventa “kissing an arab”… tre ore di indimenticabile concerto.. Alla prossima…. KIA

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho sempre amato la loro song " Boys Don't Cry" :D


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