domenica, ottobre 22, 2006

sogno?

Un giorno addormentandomi sul mio divano, mi ritrovai all’improvviso in un inferno…non so per quale preciso motivo c’ero finito, mi sembrava che nella mia vita fossi stato sempre abbastanza buono, ma dato che non ricordavo neanche la causa della mia morte, presi la cosa come un fatto immutabile e mi adattai alla mia condizione di dannato. L’inferno non era poi così diverso da come me l’avevano descritto in vita, tranne per i turni di dannazione che duravano 160 ore infernali e che lasciavano le altre 146 ore infernali per una piccola vita sociale…c’erano centri commerciali, strutture x fare sport, sale musica, ma soprattutto si scopava molto durante queste pause e dato che ero morto abbastanza giovane, subito mi mise gli occhi addosso una diavolessa di 1° livello, il grado più alto del girone, che volle subito farmi provare le delizie acrobatiche delle diavolesse in calore. Dato che era un gran pezzo di devil-gnocca di origine caraibica, non ebbi problemi ad accettare la sua proposta (se non lo facevo mi avrebbe evirato 17 volte l’ora, facendomelo ricrescere ogni volta) e ben presto passai da dannato semplice (cioè quelli che lavorano e si beccano le frustate) ad aiuto diavolo scelto, ed assunsi presto i gradi di assistente-capo perché con me tutti i dannati si trovavano bene e rendevano d più (avevo escogitato per loro un metodo frustata finto flash, fermavo la frusta ad 1 mm dalla pelle e loro dovevano gridare come in preda ad un impalamento con cactus e io gli davo una frustatine ogni 4 o 5 giusto x i segni). La mia diavolessa intanto dai lunghi capelli neri, con due piccole corna che intonate con gli occhi la rendevano irresistibile, lavorava con la burocrazia infernale per farmi avere i documenti da diavolo dato che aveva intenzioni serie con me e così dopo poco tempo mi ritrovai sposato e demonio effettivo, con tutti i poteri che ne conseguono. Potevo cambiare forma, aspetto, dimensione e perfino conto in banca, a patto che ogni tanto facessi qualche azione malvagia che abilmente, grazie alla mia “ruffianeria”, mi facevo falsificare dalla sorella della mia Idhemòna che lavorava nell’ufficio certificazioni diavolesche. La vita da demone non era malaccio, vivevamo in un palazzo rosso fuoco fuori e giallo piscio dentro, ma al di là del cattivo gusto per i colori era confortevolissimo e la mia diavolessa aveva una figa parlante. Proprio così, a volte rompeva talmente le palle al mio cazzo (scusate il gioco di parole), che lui pur di non sentirla rimaneva tutta la notte nel culo di Idhemòna e lei la mattina si incazzava con me urlando che il culo me lo dava solo quando lo decideva lei. Comunque a parte questo trascorso, vidi che quella diavolessa non era poi così cattiva e le chiesi come mai era all’inferno…lei mi raccontò la storia della sua vita facendomi due palle indescrivibili, ma facendomi capire che tutto sommato era perdonabile quello che aveva fatto, al che mi incazzai con Dio e dissi: “nella mia vita sono sempre stato smemorato e non so perché mi trovo qui, ma lei non merita di marcire tutta l’eternità quaggiù mentre voi vi godete il suo sole caraibico”. Idhemòna mi guardava con i suoi occhini da pantera orgogliosa di me e subito nella mia malsana mente balenò un’idea…”andremo a parlare col signor Dio e gli chiederemo data la sua Magnifica Onnipotente Magnanimità di riesaminare il tuo caso” “e vedremo se risponderà chiaramente a Fonzies-devil” aggiunsi col petto gonfio (fonzies-devil è una piccola licenza che mi sono presa quando mi hanno nominato diavolo e i dannati si divertivano a chiamarmi così). Ridestato dal mio delirio di onnipotenza da un demon-pompino che in segno di gratitudine mi faceva Idhemòna, iniziai a pensare su come arrivare alle porte di San Pietro eludendo tutte le sorveglianze diaboliche. Era chiaro che Satana non ci avrebbe mai permesso di lasciare i nostri posti se non altro per motivi di immagine dato che eravamo i due demoni più in vista del girone, così mi trasformai in fumo di charas (ai diavoli era permesso farsi qualche canna) e mi avvicinai ai confini tra il vapore putrido di un inferno e la spumosa nebbia-candida di un paradiso. Purtroppo come fumo non potevo controllare la corrente ed ebbi un piccolo contatto con la nebbia paradisiaca, subito scattò l’allarme e dei cavalieri bianchi scattarono con le sciabole dorate contro i cavalieri neri della palude e si fronteggiarono nella linea di confine gesticolando e parlando in varie lingue, fortunatamente riuscii a salvarmi auto-fumandomi, anche se questo mi costò 3 giorni di ritardo dal mio ritorno a casa. Appena arrivato fui accolto dalla mia diavolessa disperata che appena mi vide gli occhi ancora gonfi di fumo capì tutto e mi perdonò all’istante…io iniziai da subito a studiare la situazione, l’unico metodo per oltrepassare il confine era farci aiutare dai cavalieri bianchi del Signore, sperando che quel giorno fossero sobri dato che in paradiso si coltivava una prelibatissima uva (era questa una delle fonti di maggior richiamo ed infatti i miei amici sarebbero tutti lì). Partimmo di notte, io trasformato in fumo di nepalese (il charas ora potevano riconoscerlo) e lei in white widow (un po’ x esorcizzare la pericolosità della cosa)…così ammolecolati ci dirigemmo verso il confine, purtroppo come fumo oltre lì non potevamo andare e ci fermammo a circa 1 km dal posto di confine con i demoni intenti a stuprare varie prostitute che reclamavano la parcella. Decisi che quello era il momento giusto per passare, quindi (per non rischiare che trombassero anche idhemòna) mi trasformai in rasta-man giamaicano e Idhemòna si trasformò in joint di erba jamaicana e inscenai che a forza di fumare mi ero smarrito…il capo-demone di guardia inspirò con gusto l’odore della mia canna e ne fu persuaso, ci accordammo per 1 kg di marijuana e mi fece oltrepassare il confine felice come un diavoletto di 4000 anni…appena oltrepassato di lì subito scattò l’allarme senso anti zolfistico (in quanto diavoli anche mascherando puzzavamo di zolfo) e subito fummo circondati da moltissimi cavalieri bianchi semi-sobri…inventai li per li che ero un avvocato e che dovevo parlare di una causa con il Signor Dio e che avevo della marijuana per loro, alché Idhemòna si trasformò in donna e loro strabuzzarono gli occhi e fecero girare le aureole, ma io gli spiegai che lei non era la marijuana ma che fumando la mia ne avrebbero incontrate anche di meglio. Così riuscii ad essere portato dal Signor Dio che vidi molto Invecchiato e anche un po’ come dire, Scoglionato…provai a spiegargli ma lui mi interruppe subito perché già sapeva tutto, “chiaro è Dio pensai”! In realtà aveva delle telecamere giapponesi con maxi-schermo e controllava tutto come un grande papà…allora gli spiegai la storia di idhemòna e se lei una volta figlia anche sua non avesse diritto ad un’altra possibilità. Sua Onnipotenza pareva molto interessato e quando si svegliò disse queste parole “ci penserò su”, al che io mi incazzai come un demonio e gli dissi “mi perdoni Signor Dio, Allah, Buddha, Confucio o San Gennaro” ma noi ci siamo fatti un mazzo così per sapere la verità e lei ci dice ci penserò???” L’Onnipotente allora si levò in piedi in tutta la sua Maestosità, afferrò un otre di vino e se la sparò in gola e disse: “ma tu che cazzo parli che non sei neanche morto, adesso hai rotto i coglioni perciò torna sul divano e svegliati”! Cercai di dire, fate quello che volete ma lei è innocente, salvatela e la vidi lentamente svanire mentre era ritornata donna…bellissima. Mi svegliai di soprassalto e mi accesi un bong pensando se quello che era successo lo avevo veramente sognato, quindi guardando la mia stanza immutata e l’orologio che segnava che erano passate solo 3 ore e 33 minuti decisi che era inutile approfondire perché era solo un sogno. La mattina seguente come al solito andai a lavoro, con la mia solita grinta da malato terminale mi avviai nel freddo verso l’ufficio, quando notai per caso, proprio a 10 m dal mio ufficio, l’inaugurazione di un nuovo negozio di profumi. La novità svegliò per un attimo i miei sensi intorpiditi e decisi di andare a vedere se avevano il mio profumo preferito, entrai, l’ambiente era aperto e luminoso e le fragranze si mescolavano delicate, subito i miei occhi si posarono su una strana bottiglia rossa e nera di nome diabolik, mi avvicinai e per un attimo nel suo vetro scuro rividi gli occhi di lei ed ebbi una fitta al cuore…e fu proprio in quel momento, che sentii prendermi per mano e alzando gli occhi la vidi, bellissima che mi sorrideva, non disse nulla e mi diede un dolce bacio e poi mi porse un foglietto. La scrittura era malferma ma si leggeva chiaramente “P.S. fatti meno canne…e per il sesso estremo che farai con tua moglie chiuderò un occhio…tuo…GOD”…(anche a lui piaceva essere chiamato così). E fu così che ebbi la prova dell’esistenza divina.

Siddharta

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi alzo dal letto di fieno e gli corro incontro. Afferro le spalline della salopette e cerco di sfilargliele intraprendendo una vivace lotta. I nostri corpi si arrotolano nella paglia con intenti diversi. Sollecitata dalle mie spinte la salopette si lacera sul davanti. Un lungo taglio divide il tessuto in due parti fino al pube, mettendo in evidenza i genitali... se così si possono definire.
L'uccello di Carlo più che somigliare ad un volatile, sembra una lumaca, tanto è piccolo e retratto: assomiglia a quello di un putto.

Dopo la scoperta mi sento imbarazzata. La ragione di tanta resistenza nello spogliarsi era certamente dovuta al volume dei genitali. Mi avvicino a Carlo e gli accarezzo il capo. Gli sollevo il mento e deposito un tenero bacio sulle sue labbra. Ci ritroviamo abbracciati nel fienile mentre la pioggia continua a scendere senza sosta sulla tettoia della barchessa. Carlo si alza in piedi e con la schiena resta appoggiato al muro di balle di paglia. Afferro nella mano il delicato frutto che tiene custodito fra le gambe e con il sapiente lavoro delle dita metto allo scoperto la parte rosea della cappella.
Inginocchiata ai suoi piedi inizio a succhiargli l'uccello. L’oggetto di piacere è così corto e sottile che non so come fare a tenerlo nella mano. Le dimensioni, in piena tumescenza, sono paragonabili a un dito mignolo. Lo stringo, se così posso dire, con pollice ed indice e comincio a masturbarlo, inumidendolo con un poco di saliva.

Ho difficoltà nello scappellarlo completamente. Il frenulo appare completamente attaccato all'uretra, come quello di un bambino. L'emozione di questa scoperta mi eccita ancor di più. Sto masturbando il "pisello" di un ragazzino, ospite nel corpo di un adulto. Non posso che benedire la pioggia che me lo ha fatto scoprire. Ho l'impressione di tenere fra le labbra un pezzo pregiato e forse unico, probabilmente nessun'altra donna prima di me ha avuto modo né di vederlo né di gustarlo. Avrei voglia di chiedere a Carlo se ha avuto rapporti sessuali con delle donne, ma recedo dal proposito. Sono eccitata, maledettamente eccitata, ma non voglio aumentare il ritmo con cui sto succhiando questo gioiellino della natura. Con la mano libera inizio a massaggiarmi il clitoride, turgido di passione.

Non capisco se il tremore che sta manifestando il corpo di Carlo sia dovuto a godimento o al freddo che imperversa attorno a noi. Affondo la bocca con più decisione e ingoio anche le palle. Subito dopo riprendo a succhiare l'uccellino ripetendo il medesimo movimento più volte. L'atto mi provoca una sensazione di piacere sconosciuta. Il cazzo lumaca, dalle dimensioni infantili, mi fa tornare con la memoria a quando ero adolescente. Più lo succhio e più rivivo i dolci ricordi dell'infanzia, i primi pompini, le prime seghe eseguite ai coetanei di gioco. Lo spruzzo con cui mi sborra in bocca è pari alle dimensioni del suo uccellino. Ma il piacere che ho saputo trasmettergli è del tutto simile a quello di un cazzo normale, lo percepisco dal tremore delle gambe e dall'urlo che gli esce dalla bocca nel momento dell'eiaculazione.

Sto per succhiare le ultime gocce di sperma quando Carlo si svincola dal mio abbraccio, indossa la maglietta bagnata, afferra la bicicletta e senza nemmeno salutarmi si lancia nella discesa che da Busana conduce a Cervarezza.
Dopo la sua partenza resto coricata sul letto di paglia e mi addormento. Mi sveglio quando è tardo pomeriggio. A quell'ora il sole si è fatto largo fra le nubi e non piove più. Afferro la salopette e l'indosso insieme alla mitica maglietta del Dopolavoro Dipendenti Sanità, dopodiché salgo sulla bicicletta e prendo la strada di casa.

Anonimo ha detto...

....a ognuno il suo sogno:-)....